Cultura

Architettura è l’ora della sostenibilità

Tutti li vogliono, dalle giovani coppie agli enti pubblici. Sono i bioarchitetti, quelli che studiano come progettare e costruire case, quartieri e città davvero a misura d’uomo.

di Carmen Morrone

Gli impianti di Torino 2006 sono sotto la loro sorveglianza, le giovani coppie che acquistano casa li pretendono, gli enti locali se li contendono. Sono i bioarchitetti. «Quelli che, avendo studiato come realizzare il miglior rapporto tra uomo e ambiente, costruiscono abitazioni e luoghi pubblici con materiali ecocompatibili, capaci di risparmiare energia e acqua e accessibili a tutti», spiega Ugo Sasso dell?Istituto nazionale di bioarchitettura. A ricercarli, un sempre più diffuso desiderio di vivere in case e quartieri di qualità e accoglienti in ogni momento della vita: dall?infanzia alla vecchiaia. A dare la spinta decisiva una direttiva delle Unione europea, la 42 del 2001, che ha obbligato Regioni, Province e Comuni allo studio di sostenibilità nella realizzazione dei piani territoriali. In altre parole, tutti gli edifici pubblichi devono rispondere a determinati standard europei di ecocompatibilità. Ma come ci si prepara a diventare bioarchitetti? «Una laurea vera e propria in bioarchitettura non c?è», chiarisce Virginia Gangemi, docente di Progettazione paesaggista alla Federico II di Napoli e presidente del Centro interuniversitario Abita. «Ci sono però le facoltà di Ingegneria e di Architettura che in questi ultimi anni hanno introdotto corsi sulla sostenibilità delle costruzioni, dei materiali, degli impianti». La mancanza del corso di laurea ad hoc non preoccupa. Parla per tutti Gianni Scudo, presidente del corso in Architettura del Politecnico di Milano. «I temi della bioarchitettura devono diventare parte degli esistenti insegnamenti di architettura e ingegneria. È il contesto ambientale in cui viviamo che lo richiede». Dunque chi vuole iscriversi deve fare molta attenzione all?offerta formativa dell?ateneo. Quale bussola per navigare nel mare magnum c?è il centro Abita, costituito dal Politecnico di Milano e Torino, Firenze, Napoli I e II, Reggio Calabria, Roma. E, new entry, Genova. «Ormai i temi della bioarchitettura sono irrinunciabili», afferma Adriano Magliocco, ricercatore in Tecnologia dell?architettura all?ateneo genovese. «Da quest?anno accademico è partito il corso di Progettazione bioclimatica in cui si studia come realizzare spazi comuni sostenibili». Non solo. Sempre a Genova ha preso il largo il master in Politiche territoriali, frutto dell?alleanza delle facoltà di Economia, Ingegneria e Architettura. Nelle motivazioni dell?atto di nascita si legge: «Perché lo sviluppo è sempre più legato alla capacità di trasformare le città e il territorio in un sistema diretto da un progetto condiviso». Condivisione, ovvero partecipazione di tutte le componenti del tessuto sociale è la parola d?ordine. E se a Imperia ciò significa che la facoltà di Architettura di Genova e i bambini hanno disegnato il progetto di un parco pubblico ora in costruzione, a Roma il Comune è addirittura partner del master in Architettura bio-ecologica e tecnologie sostenibili per l?ambiente. Alla terza edizione, il corso ha diplomato una sessantina di bioarchitetti. «La metà dei nostri iscritti lavora in ministeri ed enti pubblici, e partecipa allo stage presso gli uffici tecnici del Comune di Roma preposti alla pianificazione territoriali», dice Claudio Di Curzio. Anche a Torino 2006, dicevamo, si muovono i bioarchitetti. «Il Toroc ci ha dato l?incarico di valutare la qualità dell?insediamento su sei interventi di edilizia e su alcune infrastrutture», spiega Mario Grosso del Politecnico di Torino, facoltà di Architettura. «Noi verifichiamo la eco-compatibilità dei progetti prima della loro realizzazione. Forse entro la fine dell?anno sarà istituita una vera e propria certificazione Iso». Dal Piemonte alla Toscana, dove per poter sostenere il confronto con l?Europa, che può cominciare proprio dalla preparazione universitaria, a Firenze il master in Architettura bio-ecologica e innovazione offre una possibilità. «Il nostro master può contare su un consorzio di università europee, come La Rochelle di Parigi, l?università Catalana di Barcellona, l?istituto Metropolitan di Londra e dall?anno prossimo il Politecnico di Dortmund», racconta il direttore del master, Marco Sala. «Ciò permette agli studenti di frequentare lezioni e sostenere esami all?estero». Docenti ed esperti concordano nel dire che il settore è in crescita, e che ci sono ottime possibilità di placement. A una condizione. Anzi due, come sottolinea Sigfrid Camana, presidente dell?Associazione nazionale architettura bioecologica: «Ai bioarchitetti si chiede non solo un?ottima preparazione tecnica, ma anche la capacità di interloquire con le istituzioni. La scelta ecocompatibile, seppur in certi casi obbligata, ha costi alti per via della concorrenza di altri mezzi, apparentemente economici. Dunque si chiede ai giovani la capacità di dare le soluzioni migliori in rapporto spesa-qualità». I centri d?eccellenza Tre riferimenti per professionisti Nel panorama formativo della bioarchitettura svettano tre centri di eccellenza. Abita è l?acronimo di architettura bioecologica e innovazione tecnologica per l?ambiente. Nato dodici anni a Firenze, il centro interuniversitario di ricerca che ha sedi in ogni regione italiana, ha creato una rete di otto facoltà di architettura. È partner del primo master in Bio-architettura organizzato dall?università di Firenze. Sempre a Firenze c?è Inbar, l?Istituto nazionale di bioarchitettura, ricerca e formazione. L?Inbar organizza corsi di aggiornamento per professionisti. Anab è l?Associazione nazionale architettura bioecologica. Dal 1989 è il punto di riferimento per la bioarchitettura a Milano e per il Nord Italia. Info: Abita, 055.2491559 –info@taed.unifi.it Inab, 055.5000532 –info@bioarchitettura.it Anab, 02.76390153- info@anab.it


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