Mondo

Arafat: la successione e le varie ipotesi

Le correnti politiche palestinesi: radicale, lealista e moderata.

di Paolo Manzo

L’assenza di una linea inequivocabile dell’Autorita’ nazionale palestinese, in parte dovuta all’isolamento di Yasser Arafat, provoco’ la nascita di tre correnti di pensiero all’interno della politica palestinese. Eccole riassunte nell’ora piu’ drammatica del popolo palestinese, con il fiato sospeso per la sorte del suo leader carismatico. LA LINEA RADICALE – A comporre questa corrente sono il Movimento della Jihad islamica in Palestina, Hamas, il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) e il Fronte Democratico per la liberazione della Palestina (FDLP), oltre ad alcune strutture locali di Al-Fatah tra cui l’ala militare rappresentata dalle Brigate dei Martiti di Al-Aqsa. Queste forze politiche rifiutano qualsiasi trattativa con Israele e guidano operazioni militari contro l’occupazione dell’esercito di Tel Aviv, ricorrendo anche ad azioni di martirio. Secondo questi gruppi, gli attentati compiuti al di fuori dei Territori sono riusciti a sensibilizzare la societa’ israeliana sull’esistenza del problema palestinese. La corrente radicale ha, come modello regionale, la strategia degli Hezbollah attivi nel sud del Libano. Sono convinti che la resistenza armata portera’ risultati positivi alla causa palestinese. Ne hanno parte i responsabili di al-Fatah fedeli a Yasser Arafat, tra cui il ministro degli Esteri Nabil Shaath e dall’ex ministro degli Interni Hani al-Hassan. Costituiscono l’ala maggioritaria nelle istituzioni dirigenti del partito, ovvero il Comitato centrale e il Consiglio rivoluzionario. La fedelta’ al leader palestinese e’ poi condivisa dalla quasi totalita’ dell’Anp e dai membri dei Servizi di sicurezza palestinesi formati dalla Sicurezza preventiva generale (SPG), dai Servizi Generali (SG) e Militari (Istikhbarat/RM) e dalla Polizia Civile palestinese (PC). L’obiettivo di questa corrente e’ quello di fermare le operazioni contro i civili israeliani e limitare la resistenza alla legittima difesa. Anche se in linea di principio non si oppongono all’Intifada, i lealisti propongono un compromesso di resistenza ‘reattiva’ e non preventiva. Questa corrente gode del sostegno della comunita’ internazionale, che e’ totale da parte dei Paesi arabi e parziale da parte dell’Unione europea, che non mette in discussione la legittimita’ di Arafat come leader dell’Anp. Questa corrente, di cui fanno parte alcuni intellettuali e qualche deputato, gode del sostegno dei quadri dirigenti di Al-Fatah, tra cui Abu Mazen, e di qualcuno dei vecchi uomini forti dei Servizi di sicurezza palestinesi, come Mohammad Dahlan e Jibril Rajub. I moderati spingono per un nuovo tavolo dei negoziati, invitando i palestinesi a interrompere l’Intifada e a proporre una resistenza passiva o popolare mirata a porre fine all’occupazione e a proclamare lo Stato palestinese indipendente. Il ricorso alla violenza, sostengono, non ha portato ad alcun risultato e solo con i negoziati si potra’ far cadere il governo Sharon. Critici nei confronti dell’Anp, che secondo loro non ha saputo reagire alla militarizzazione dell’Intifada, i moderati chiedono una riforma delle istituzioni politiche. Nel 2002 suggerivano la nomina di un capo dek governo in caso di vacanza provvisoria o definitiva del potere. La linea moderata e’ sostenuta dall’amministrazione Usa. I moderati sono favorevoli al disimpegno dell’Olp rispetto all’Anp e chiedono democrazia e indipendenza per i partiti politici. L’iniziativa e’ stata sostenuta da Mohammad Dahlan e da Hassan al-Sheikh che, dopo l’arresto di Marwan Barghouti, e’ divenuto il nuovo responsabile di al-Fatah in Cisgiordania.


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