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Arabia Saudita: il diritto alla guida è una questione economica

«Non è un atto di generosità, ma una necessità economica», così Liisa Liimatainen giornalista, esperta di Islam e Arabia Saudita, commenta la decisione del re di concedere finalmente il diritto alla guida alle donne del Paese. Una scelta che ha a che fare con un piano di riforme necessarie per il futuro del Paese

di Ottavia Spaggiari

Da giugno 2018 le donne saudite potranno finalmente guidare l’auto. Una svolta che potrebbe essere epocale. Eppure, secondo Liisa Liimatainen giornalista, autrice del libro L’Arabia Saudita. Uno stato islamico contro le donne e i diritti, si tratta soprattutto di una decisione economica necessaria.

Come commenta l’annuncio di dare alle donne questo diritto?

Fa parte di una riforma economica e sociale più ampia e necessaria per il futuro del Paese. In Arabia Saudita milioni di gli uomini hanno avuto la vita facile con i soldi del petrolio, non hanno avuto bisogno di attivarsi per guadagnare, la maggior parte sono impiegati nel settore pubblico. In questo senso la situazione delle donne è molto diversa, le donne non partivano da una vita attiva, la possibilità di lavorare garantita, hanno dovuto darsi da fare, costruirsi una professionalità e oggi rappresentano una forza lavoro molto buona. In media tra i disoccupati, sono le donne ad avere un livello di istruzione superiore. Il fatto di permettere loro di guidare, in un Paese in cui i trasporti pubblici sono quasi inesistenti, è rappresentativo della volontà di liberare una forza lavoro potenziale.

Perché il decreto del re arriva proprio adesso?

Concedere questo diritto non è stato un atto di generosità. Le donne rappresentano un valore economico. Lo dimostra anche il fatto che, ancora prima di questo decreto, lo scorso maggio è stato eliminato il tutoraggio maschile per ottenere dei servizi e svolgere delle pratiche amministrative. Prima di questo nuovo decreto, le donne avevano bisogno del permesso di un custode legale uomo, solitamente il marito, il padre, il fratello o il figlio. Questa decisione quindi è frutto di un disegno più vasto.

Eppure quando i giornalisti hanno chiesto se seguiranno altre riforme a favore dell’uguaglianza di genere, l’ambasciatore saudita a Washington è rimasto in silenzio…

Non dobbiamo scordare che l’Arabia Saudita non è uno stato di diritto. Non ha una costituzione, né un parlamento, solo la shura, un organo puramente consultivo e nominato dal Re all’interno di una monarchia assoluta, e chi si è mobilitato a favore di una monarchia costituzionale, è stato classificato come dissidente e messo in carcere. Lo stesso Saudi Arabia Vision 2030, pubblicato nel 2016 è un piano di riforme che non tiene assolutamente conto della partecipazione dei cittadini. Ad aver giocato un ruolo importante sicuramente sono state le donne presenti nell’Assemblea consultiva del re, sono 30 su 150, ma la strada per i diritti nel Paese è ancora lunghissima, e gli ultimi diritti che verranno concessi saranno quelli politici.

Insomma, quella del diritto alla guida non si può considerare una conquista decisiva…

È sicuramente una conquista. Le prime manifestazioni a favore del diritto delle donne di guidare risalgono al 1991. Sono passati 26 anni. Dobbiamo però ancora capire quali saranno precisamente le condizioni di questa normativa, cosa che non è stata ancora specificata, per ora sappiamo solo che non dovrà entrare in conflitto con la shari’a e non è ancora chiaro cosa significherà questo. Inoltre bisogna fare un lavoro enorme, anche con gli uomini sauditi. In Arabia Saudita mi sono ritrovata a girare da sola, con un’amica americana e musulmana ed è capitato più volte di essere attaccate verbalmente, subire commenti insopportabili e venire ricoperte di insulti perché non eravamo accompagnate da un uomo. Anche gli uomini sauditi devono abituarsi all’indipendenza delle donne che, tra l’altro, non possono continuare a coprirsi solo perché gli uomini non riescono a tenere a bada i propri istinti.

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