Non profit

Aprire un nido: Daniela e Agnese: “Noi due ce l’abbiamo fatta”.

Dirigono un asilo che avrà il marchio Pan. "Fondamentale la rete"

di Redazione

Leggere le emergenze sociali di un territorio, escogitare una soluzione, mettere in campo competenze, cercare finanziamenti. È il vademecum per inventarsi una buona impresa sociale, seguendo l?idea sia del semplice dono, sia dell?interesse. A dirlo è un?esperta, Daniela Manco, presidente della cooperativa La Chioccia di Pieve Emanuele (nell?hinterland di Milano), una realtà al femminile che da nove anni si occupa di servizi all?infanzia. Nata nel 95 con l?apertura del primo asilo nido su un territorio carente di servizi all?infanzia come quello della zona a sud di Milano, conta oggi in Lombardia 4 nidi a gestione completa, un altro in cui coordina la formazione del personale e 8 spazi gioco. E l?ultimo esperimento, il micronido Piccoli passi, di Binasco, porta il marchio Pan. «La nostra fortuna sta nell?offrire servizi dove mancano», spiega Daniela Manco. «È stato così per il primo nido aperto a Pieve, in cui il numero di immigrati senza sostegno familiare è elevatissimo, ma anche per quelli successivi. Il segreto è saper leggere le esigenze di un territorio: il lavoro diventa la declinazione di un ruolo sociale». «Siamo andate a toccare i punti più deboli», conferma Agnese Silverio, coordinatrice della cooperativa e supervisore tecnico dei micronidi, «aprendo proprio dove i servizi per l?infanzia non esistevano. A Binasco, per esempio, dove avevamo una struttura Tempo famiglia, non c?era niente per i piccoli dai 12 ai 36 mesi». Ma se è vero che etica e interesse sociale sono fondamentali, è altrettanto importante ragionare in termini imprenditoriali, proprio per garantire un impegno continuativo e un benessere collettivo di lunga durata. Ecco allora che competenze, capacità organizzative, professionalità e conoscenza dell?impianto legislativo giocano un ruolo di primo piano. «Chi vuole avventurarsi in un?esperienza di questo genere», continua Daniela Manco, «deve analizzare il contesto territoriale d?intervento, raccogliendo dati precisi, per esempio, sui nuclei familiari e il numero di bambini, il livello economico e occupazionale, la presenza di servizi e le richieste, quindi il rapporto domanda e offerta, e anche le liste d?attesa». Fatto questo, il gradino successivo è passare dalla carta ai fatti: procedere con l?impianto organizzativo vero e proprio. «Bisogna individuare la struttura: da qui scattano tutti gli altri meccanismi. Serve conoscere le norme, muoversi per i finanziamenti, stendere un business plan, fare un bilancio equilibrato che preveda l?ammortamento dei costi e poi lavorare sull?aspetto pedagogico, individuando con l?équipe di lavoro un modello di riferimento che permetta di strutturarsi secondo servizi, orari e obiettivi precisi». Insomma, la regola è puntare a usufruire di finanziamenti statali, regionali e locali senza tralasciare l?aspetto professionale e qualitativo. E in questo complesso incrocio di risorse e competenze, il lavoro in rete e il sostegno dei consorzi di cooperative sociali non possono mancare. «La rete è fondamentale», chiarisce ancora Daniela Manco. «Per esempio, nell?ultimo caso, quello del micronido a Binasco, ci siamo appoggiate alla sede territoriale Cgm per gli aspetti commerciali, l?ufficio paghe, i bandi, la compilazione di documenti e la creazione di progetti». Vista la disomogeneità del comparto legislativo e amministrativo, infatti, un servizio di orientamento specifico è quasi d?obbligo. «Le norme sono tante e diverse», conclude la Mango. «L?ultima legge nazionale è del 1971, e rimanda alle Regioni i criteri di individuazione dei finanziamenti. Insomma, i tavoli di confronto con altre cooperative del settore per documentarsi sulle esperienze già esistenti sono non direi solo utili, ma necessari».

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