Welfare

Appunti ricordo da Venezia

di Flaviano Zandonai

Un resoconto della visita studio degli imprenditori sociali alla Biennale architettura. Seguirà anche uno storify multimediale visto che i materiali raccolti sono molti (a iniziare dallo stream di Twitter #SI_Biennal). Ma un piccolo riassunto ci vuole. Non in forma di recensione, ma di apprendimento. Era questo infatti l’obiettivo di un micro evento, realizzato peraltro con il sostegno di Vita. Augurandoci che si tratti di un numero zero, seguito da altre attività che, come sostiene Pierluigi Sacco, facciano della fruizione culturale un’esperienza di apprendimento che allena il pensiero laterale. Chissà che, messa così, non ne tragga vantaggio anche la stessa cultura, oggi reclusa tra manifesti e stati generali dove a prevalere é soprattutto il parlarsi addosso.
Tira la soluzione e trova il problema. Si potrebbe riassumere in questo modo la struttura del padiglione USA che invitava a tirare dal soffitto schede progettuali collegate da carrucole al problema da risolvere. Un database di innovazione sociale che i promotori lasceranno in eredità alla Biennale grazie anche, immagino, a una cooperativa che ha gestito il programma collaterale. L’insegnamento riguarda la retorica dei “bisogni emergenti” (e magari pure “insoddisfatti”) spesso sbandierati per giustificare le più diverse attività, iniziative, progetti. Invece i curatori di Spontaneous Interventions invitano a leggere, congiuntamente, bisogni e risposte per dare effettivo spessore sia ai primi – spesso “sospetti” come ricorda un bel saggio di qualche tempo fa – che alle seconde, riconoscendo loro la necessaria massa critica per diventare risorse di sistema e non esperimenti localizzati ed estemporanei.
Coprogettare serve. É l’insegnamento del padiglione giapponese dedicato alla ricostruzione post tsunami. I progetti delle nuove abitazioni sono quasi “abbracciati” da note metodologiche sulle modalità di coinvolgimento della popolazione che é avvenuta, letteralmente, su una tabula rasa. Non un gioco ad incastri per ottimizzare risorse esistenti attraverso un processo incrementale, ma una vera e propria ricostruzione da zero che chiama in cause sia tragedie simili (il terremoto in Emilia ad esempio) sia, in senso metaforico, eventi critici legati alla crisi economica e sociale che stiamo attraversando. Il Giappone insegna, da questo punto di vista, due cose: 1) l’individuazione degli elementi che meglio hanno resistito per farne perni di un nuovo ciclo di vita (nel loro caso gli alberi morti che diventano architravi delle nuove case); 2) l’efficacia garantita dal procedere per prove ed errori, evitando le rigidità della programmazione top down.
Passato ingombrante e presente parziale. Il padiglione Italia é, a suo modo, esemplificativo dei limiti allo sviluppo che caratterizzano il nostro Paese. É dedicato all’innovazione imprenditoriale, ma é stretto tra un passato ingombrante – la memoria di Olivetti che, come osservava acutamente la nostra ottima giuda portoghese, nessuno osa mettere in discussione – e un presente che non smuove un passo verso modelli d’impresa autenticamente innovativi. Quasi che dalla storia recente si proiettasse un cono d’ombra che nasconde, e qui sta il paradosso, proprio i nuovi modelli imprenditoriali. Eppure non ci voleva molto a squarciare l’ombra. Bastava guardare a esperienze di impresa sociale o ad archivi come quello della Generativitá curato dall’Istituto Sturzo. Peccato.

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