Vedo dal programma della terza conferenza nazionale sulle politiche della disabilità in programma a Torino il 2 e 3 ottobre prossimi che una delle mie osservazioni espresse su questo blog è stata accolta (non credo che il merito sia mio, ma ne sono ugualmente contento). E cioè la presenza del ministro Sacconi al termine dei lavori, per avere una interlocuzione complessiva con il Governo, riconoscendo i meriti e il ruolo, tutt’altro che agevole, svolto dal sottosegretario al welfare, Eugenia Roccella.
Rimane una conferenza un po’ in sordina, e organizzata in tempi stretti, in un mese di lavoro, forse meno. E questo non potrà non incidere sui contenuti e sul taglio, dichiaratamente tecnico, di questo incontro nazionale che è previsto dalla legge, ma che è soprattutto una grande conquista del movimento delle persone con disabilità e dei loro familiari. Peccato, perché i temi sul tappeto sono importanti e cruciali. Ne cito solo due, che rendono l’idea: “La de-istituzionalizzazione: sostegno alla famiglia, domiciliarità, vita indipendente”, “Gli stati vegetativi come paradigma delle disabilità estreme”. Mi auguro perciò che la partecipazione sia ampia e diffusa da tutto il territorio nazionale, e non solo dalle regioni più vicine a Torino, sede ottima per accessibilità complessiva e per maturità delle associazioni e delle istituzioni regionali e locali.
E’ evidente come per questo mondo, forte di tre milioni almeno di cittadini, essere criticamente attivi è di fondamentale importanza. Senza una interlocuzione continua, assidua, civile, ferma ma aperta, è impossibile superare il muro della indifferenza generale della società. E’ una questione pre-politica, che con modalità diverse riguarda entrambi gli schieramenti politici. Quando infatti governa il centro-sinistra le associazioni hanno la netta sensazione che vi sia l’errata e superficiale convinzione di essere in qualche modo un “governo amico” e dunque non criticabile, quasi le leggi e i provvedimenti necessari e pertinenti scaturissero da una verità rivelata una volta per tutte. Quando governa il centro destra, oggettivamente, si accentua la divaricazione di volontà fra chi detiene il portafogli, ossia il ministero dell’Economia, e i responsabili delle politiche sociali, costretti a fare più o meno le nozze con i fichi secchi. Non c’è, nel centro-destra, una cultura condivisa della disabilità come risorsa positiva, mentre, nel migliore dei casi, si ritiene questo mondo meritevole di attenzione per solidarietà o per convinzione etica. Il centro-sinistra, per converso, tende ad accentuare le procedure dei controlli, i contrappesi burocratici, le complicazioni fiscali, anche quando non ce ne sarebbe bisogno.
Nella storia degli ultimi dieci anni, va detto, quasi tutte le norme per la disabilità sono state approvate a larghissima maggioranza, se non all’unanimità. Lodevole capacità del Parlamento di superare contrapposizioni ben note sugli altri argomenti. Eppure, nei fatti, la realtà quotidiana che vivono le famiglie e le persone con disabilità è assai lontana da uno standard di qualità soddisfacente.
La mia impressione è che stiamo vivendo in una fase culturale, politica, economica e sociale nella quale le difficoltà generali del Paese sono tali da spingere in basso chi è più debole. Il tema della partecipazione alla spesa è in questo senso esemplare. Le famiglie vengono chiamate sempre più spesso a far fronte a spese aggiuntive, crescenti, per garantire ai propri cari servizi che fino a pochi anni fa erano totalmente gratuiti. La crisi economica che ha colpito gli enti locali in modo evidente fa sì che l’opinione pubblica, gli amministratori, i media, ritengano comunque giusto questo contributo al costo dei servizi, senza fermarsi un momento a pensare alla specificità dei diritti delle persone con disabilità, che sono esattamente gli stessi degli altri cittadini non disabili. Ma il costo, per le famiglie, sta diventando insostenibile.
Il tema della vita indipendente, a mio giudizio, dovrebbe assumere una maggiore centralità. E’ lì che si gioca la sfida del futuro, con servizi costruiti attorno alla persona, senza costi indotti dalle grandi istituzioni residenziali che emarginano, discriminano, allontanano dalla famiglia e dall’inclusione sociale. Una persona con disabilità messa in condizione di organizzare la propria esistenza in modo indipendente costa assai meno di una persona inserita stabilmente in una residenza protetta. E questo perfino a prescindere da ovvie riflessioni sui diritti fondamentali, peraltro chiarissimi, contenuti nella Convenzione Onu, ratificata dal nostro Parlamento.
Lavoro, scuola, mobilità urbana, cultura, tempo libero, sono ancora terreni nei quali le persone con disabilità affondano in un mare di difficoltà e di barriere, spesso impalpabili, invisibili, ma non per questo meno ingiuste. La tentazione di risolvere questi problemi con una manciata di euro in più (la diffusa richiesta di aumento delle pensioni) è una scorciatoia comprensibile ma pericolosissima, perché si rischia di perdere la qualità dei servizi previsti da una moderna e pienamente italiana politica di welfare attivo.
Le associazioni danno a volte la sensazione di non fare la voce grossa, di accettare lo status quo, di giocare in difesa, anche perché spesso costrette ad una sorta di consociativismo con le istituzioni (finanziamento di progetti e di servizi, con il conseguente inevitabile conflitto di interessi). Ma le associazioni fanno spesso autentici miracoli, a corto di risorse, di volontari, perfino di giovani del servizio civile. Nel mondo della disabilità il volontariato è quasi sempre auto-aiuto, volontari di se stessi, insomma. Il che significa raddoppiare le energie e il tempo. Prima per risolvere i propri problemi personali e familiari, poi per dedicarsi agli altri.
A Torino si confronteranno ancora una volta linguaggi diversi, esigenze diverse, perché la sintesi è quasi impossibile. La guerra fra poveri è dietro l’angolo, e dunque è fondamentale il ruolo di mediazione culturale dei coordinamenti delle associazioni, faticoso, silenzioso, privo di uscite clamorose, ma spesso fecondo di risultati concreti e di credibilità.
Perciò auguro sinceramente ai protagonisti della conferenza di Torino un successo superiore rispetto alle attese, sarà la migliore premessa per una nuova fase riformatrice, della quale si sente assolutamente bisogno.
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