Tra borse sociali, nuovi modelli giuridici, social innovation ecc. ci si dimentica della cooperazione sociale, cioè di quel modello che ancora oggi è quantitativamente e culturalmente dominante nel panorama dell’imprenditoria sociale nostrana. Eppure di cose ne accadono anche sotto questo cielo. Ad esempio si è aperta la stagione assembleare della più importante organizzazione di rappresentanza del settore con tanto di rinnovo cariche. I temi non mancano alimentati anche dai numeri. Provo a incrociare due fonti. L’Istat ha appena pubblicato le statistiche sull’assistenza residenziale e socio-assistenziale che si conferma il core business della cooperazione sociale. Il 53% di queste strutture è gestito da soggetti non profit. E se si va nel dettaglio si scopre che nel 37% dei casi si tratta di imprese sociali, ma le percentuali salgono, e di molto, guardando a singoli servizi come le comunità alloggio (50%), le comunità socio riabilitative (58%) fino a strutture particolarmente complesse come le Rsa (38%). Mi fermo qui (anche se ci sono molti altri dati interessanti) perché è chiaro che si tratta ormai di imprese leader del welfare socio-assistenziale. Poi assisto alla presentazione di questo interessante working paper sulle strutture retributive dei lavoratori delle cooperative sociali. Stipendi bassi ma si sa; come si sa che la leva salariale nuda e cruda, già sollecitata negli ultimi tempi, non la si può più di tanto utilizzare, peraltro in un panorama economico che tende ad essere sempre più low cost. Quel che colpisce sono due effetti discriminatori di notevole portata. Il primo riguarda le donne che, a parità di mansione e di orario, guadagnano circa il 7% in meno dei maschi. Il secondo le persone (spesso giovani) con titoli di studio elevati, per le quali non si segnala un riconoscimento in termini retributivi se non dopo un bel pò di tempo passato in cooperativa. Non è un gran risultato per imprese “sociali”. Anche considerando che si tratta di fasce molto consistenti della forza lavoro: le donne raggiungono percentuali superiori al 70% del totale ed anche i titoli medio alti sono poco meno di 1/3. Lavorare su strutture incentivanti di natura extraeconomica, come la maggiore autonomia nell’organizzazione del lavoro, la costruzione di percorsi di carriera e di lifelong learning, il coinvolgimento nel sistema decisionale dell’impresa è una priorità da campagna elettorale per la nuova dirigenza della cooperazione sociale. C’è in gioco infatti il principale capitale di queste imprese. E, attraverso questo, una leadership anche qualitativa nei propri ambiti di intervento (peraltro già popolati di un discreto numero di soggetti for profit con intenti competitivi). Dopodiché si va tutti in borsa.
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