Samuel è un ragazzo filippino di 14 anni, vivace e sveglio, sempre sorridente, con tendenza alle marachelle, ma ha poca voglia di studiare. «Applicatio – è solito ricordare il docente di latino ai ragazzi che siedono il primo giorno di scuola tra i banchi della sua classe – significa piegarsi sui libri» e Samuel non lo fa. I professori hanno convocato i suoi genitori, portinai in uno stabile nel centro storico di Milano, e hanno detto loro che il liceo classico non è per lui, perciò è meglio che cambi aria. L’ultimo giorno di scuola Samuel ha fatto una piccola festa di addio, per salutare i compagni. Si è svolta al termine delle lezioni, e mentre i professori guadagnavano l’uscita della scuola, io dalla palestra ho percorso le tre rampe di scale per raggiungere la classe. Samuel ha tirato fuori un vassoio di squisiti dolci filippini, preparati dalla mamma, aranciata e coca-cola.
Dopo pochi minuti, però, è caduto il silenzio. Serena ha cominciato a singhiozzare, Ada aveva gli occhi rossi, Davide lo sguardo basso. Per non farmi travolgere dalla contagiosa onda emotiva adolescenziale, ho chiesto a Samuel di parlarci della nuova scuola. I genitori, tra mille sacrifici economici, hanno deciso di iscriverlo a un liceo sportivo privato in Piemonte, in un piccolo centro ai confini con la Francia, dove Samuel usufruirà di un convitto e sarà seguito con attenzione. Egli non ha mancato di descriverci favolose discese con lo snowboard, che effettuerà sulle piste di sci vicine alla scuola, sport nel quale eccelle, e di partite di pallacanestro interminabili, dove a detta di Bernardo, suo compagno di banco, sarà l’indiscutibile protagonista. Samuel ci ha descritto nei minimi dettagli la piscina dove si svolgeranno le lezioni di nuoto, fin dalle otto del mattino, suscitando non poche invidie, mentre i suoi compagni staranno chini sulle versioni di latino, osservando l’indiscutibile principio dell’applicatio enunciato dal professor Bertini.
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