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Appello per l’immediato dissequestro dell’Alan Kurdi e Aita Mari

L'appello con cui si chiede il rilascio delle due navi Ong ancorate al porto di Palermo è stato promosso dalla rete LasciateCIEntrare con Rete Antirazzista Catanese, CarovaneMigranti e altre realtà che lavorano a sostegno di migranti e rifugiati

di Redazione

La nave umanitaria Alan Kurdi della ONG tedesca Sea Eye è stata sottoposta a fermo amministrativo su provvedimento della Capitaneria di porto di Palermo, su probabile pressione dei comandi militari e dai vertici politici romani. Dopo poche ore, anche la Aita Mari, ormeggiata vicino alla Alan Kurdi, veniva sottoposta ad un provvedimento fotocopia di fermo amministrativo. «L’ispezione – hanno spiegato dalla Guardia Costiera – ha evidenziato diverse irregolarità di natura tecnica e operativa tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi, ma anche delle persone che sono state e che potrebbero essere recuperate a bordo, nel corso del servizio di assistenza svolto».

Una argomentazione che non è nuova, questa. Risale agli scorsi anni, al periodo in cui Salvini esercitava i “pieni poteri” in materia di sbarchi dal Ministero dell’Interno. Una tesi che porta all’inammissibile conseguenza che qualsiasi imbarcazione soccorritrice non avesse i “requisiti tecnici” per soccorrere dei naufragi, per non infrangere le leggi della burocrazia marittima, li dovrebbe abbandonare al loro destino in mare, senza intervenire immediatamente, come invece è sancito dalle Convenzioni internazionali.

La misura amministrativa adottata nei confronti della Alan Kurdi e poi della Aita Mari, ha come conseguenza il fermo a tempo indeterminato di due delle poche navi umanitarie che ancora operano attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, mentre si dà spazio e copertura ai pescherecci fantasma maltesi che operano respingimenti verso la Libia. Teniamo anche presente che il Governo tiene ormeggiate in porto o al limite delle acque territoriali le imbarcazioni di soccorso veloce della Guardia Costiera italiana ed i mezzi della Guardia di Finanza, che hanno l’ordine di intervenire solo in assetto Frontex o nel momento in cui i barconi entrano nelle acque territoriali italiane.

L’espediente burocratico del fermo amministrativo escogitato per bloccare il soccorso umanitario nelle acque internazionali ripropone dunque una tattica già sperimentata dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un analogo provvedimento infatti era stato adottato nei confronti della Sea Watch 3 nel porto di Catania. In quella occasione la ONG tedesca dichiarava che «le autorità, sotto chiara pressione politica, sono alla ricerca di ogni pretesto tecnico per fermare l’attività di soccorso in mare». Esattamente come accade ancora oggi.

Dopo il pesante provvedimento di fermo amministrativo adottato dalla Capitaneria di porto di Palermo si prospettano possibili processi nei confronti dei responsabili della Alan Kurdi è della Aita Mari alle quali si contesta di non avere le dotazioni tecniche e di sicurezza per tutte le persone soccorse, oltre a possibili reati ambientali. I naufraghi forse avrebbero dovuto scomparire in mare senza essere soccorsi, nei giorni in cui dopo i primi SOS nessuno stato interveniva, considerato che le navi delle Ong non avevano gli stessi “requisiti tecnici” di una nave da crociera o di un traghetto!

Si completa così la progressiva eliminazione delle navi umanitarie dal Mediterraneo centrale. I Governi vogliono allontanare ogni possibile testimone degli effetti tragici delle loro politiche di abbandono in alto mare e di respingimento in Libia. Emblematico in questo senso, quando accade a Malta, il cui Governo fa entrare a La Valletta, e ripartire subito verso sud, un peschereccio ombra che serve a respingere i migranti in Libia, addirittura senza bandiera e segni identificativi, senza neppure rispettare gli obblighi di quarantena, per non parlare di “requisiti tecnici”. Lo stesso Governo italiano, nell’ambito di Frontex, collabora con le autorità maltesi nel tracciamento delle imbarcazioni che si avvicinano alle coste di Malta e Lampedusa e, nel frattempo, nega l’indicazione di un porto di sbarco sicuro al mercantile Marina 2, con il suo carico dolente di naufraghi da giorni in alto mare, abbandonati a bordo di una nave inadeguata ad assolvere qualsiasi funzione di soccorso, e priva di personale formato per le attività SAR.

In questo scenario, le navi umanitarie sono state costrette ad impegnarsi nel Mediterraneo centrale e sopperire alla mancanza di mezzi di soccorso degli Stati europei che hanno ritirato le migliori unità delle loro guardie costiere per dedicarsi esclusivamente alle attività di contrasto dell’immigrazione illegale” sotto coordinamento di Frontex, senza peraltro riuscire ad arrestare neppure gli scafisti, e senza naturalmente sconfiggere i trafficanti che gestiscono le partenze dalla Libia e dalla Tunisia.

Tutti i soccorsi operati dalle ONG nel Mediterraneo centrale sono avvenuti in stato di necessità, per fare fronte agli obblighi di salvataggio dei naufraghi imposti dalle Convenzioni internazionali. Lo hanno affermato tribunali e procure italiani, lo conferma la Corte di Cassazione con la sentenza del 20 febbraio 2020 sul caso Rackete.

La Aita Mari, adesso ormeggiata a Palermo vicino alla Alan Kurdi, è stata coinvolta in un evento di soccorso nella notte tra il 13 ed il 14 aprile, mentre la nave di Sea Eye che attendeva dalle autorità italiane l’indicazione di un POS (porto sicuro), è stata costretta a derivare al largo di Trapani. Mentre la Aita Mari vagava in alto mare poco a nord di Lampedusa, senza un porto sicuro di sbarco, nella stessa notte tra il 13 ed il 14 aprile, poco più a sud dell’isola si verificava un respingimento illegale con il coinvolgimento di una grossa nave commerciale, la IVAN, e l’intervento di un finto peschereccio maltese-libico che riportava i naufraghi a Tripoli. In quella stessa notte 12 persone perdevano la vita a 30 miglia a sud di Lampedusa.

Coloro che considerano la Libia un porto sicuro dovrebbero visitare i sopravvissuti nel terribile centro di detenzione in cui si trovano. Nessuno può onestamente ignorare oggi l’ipocrisia dei “salvataggi” operati dalla Guardia costiera libica”.

Sulle navi umanitarie come la Alan Kurdi e la Aita Mari, i naufraghi non hanno pagato un biglietto per imbarcarsi, e non sarebbero mai saliti, se ci fossero stati i mezzi di soccorso che gli stati avrebbero avuto il dovere di approntare nel Mediterraneo centrale, coordinandosi tra loro, in osservanza degli obblighi di ricerca e soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali e dai regolamenti europei.

La Aita Mari era addirittura in fase di rientro verso la Spagna, con un equipaggio ridotto al minimo, senza la squadra di soccorso, quando è stata costretta ad intervenire per salvare vite umane che altrimenti si sarebbero perse in mare per la colpevole inerzia e responsabilità dei governi e degli stati europei .

Le realtà promotrici invitano alla più ampia mobilitazione nazionale ed europea con presidii nei porti, nelle Prefetture e dovunque si possa esprimere la nostra Solidarietà alle ONG delle navi umanitarie per fermare la macelleria sociale della Fortezza Europa.

L'appello è stato promosso dalla rete LasciateCIEntrare con Rete Antirazzista Catanese, CarovaneMigranti, Adif, Ongi Etorri Errefuxiatuak, Caravana Abriendo Fronteras. Ecco l'elenco delle associazioni che hanno aderito: (Lila Catania, Ambasciata dei Diritti delle Marche, Progetto Melting Pot Europa, Nigrizia, Baobab Experience, Sulla Stessa Barca Livorno, Obrim Fronteres Valencia, Pasaje Seguro Cantabria, Plataforma Personas Refugiadas Cáceres, Mugak Zabalduz Karabana, Iruñea Ciudad de Acogida, Iruñea Harrera Hiri, PortAmico, Mai più Lager No ai CPR, Coordinadora 12D En Piez de Paz, Sakana Harrera Harana, Comitato NoMuos/NoSigonella-Catania, Associazione “La Kasbah”, Sergio Falcone, poeta, MEMORIAREN BIDEAK / LOS CAMINOS DE LA MEMORIA, Marcella Saddi, Pasaje Seguro Cantabria, Domeno Lucano – Riace, Forum Antirazzista di Palermo)

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