Economia
Appalti, le coopsociali replicano alle Misericordie
Il portavoce dell'Alleanza delle cooperative sociali Giuseppe Guerini: «Su questo tema la disputa giuridica potrebbe durarare anni. Non è questo che interessa. Il punto è politico e attiene al contenuto che vogliamo dare all'impresa sociale»
L'interessante intervento, pubblicato su questo sito e indicato come la risposta degli esperti delle Misericordie (vedi fra le correlate) al mio commento ad una sentenza, è stato salutato da molti nel terzo settore con eccessivo entusiasmo, come la "patente" per la partecipazione agli appalti delle organizzazioni di volontariato. In realtà, proprio come nella famosa novella di Pirandello, dove il povero Rosario Chiarchiaro invocava dal giudice la condanna che sancisse la sua ufficiale "patente" di jettatore, allo stesso modo invocare la via della sentenza della magistatura per sostenere tesi sullo sviluppo delle attivitá d'impresa delle organizzazioni del terzo settore rischia di essere una strada che non aiuta a fare chiarezza.
Da questo punto di vista è molto utile che Vita ospiti e alimenti questo dibattito e forse, mi permetto di suggerire, si potrebbe anche fare qualcosa di più, come un forum oppure una serie di approfondimenti. Sia sul piano giuridico che su quello culturale e metodologico.
In ogni caso anche il recente intervento degli amici e colleghi delle Misericordie espone una posizione interessante, ma appare, a nostro parere ancora privo del grado di approfondimento, degli atti e delle sentenze citate, che richiederebbe una vicenda così delicata. Anche perche, come troppe volte accade nel nostro ordinamento, la giurisprudenza è molto ricca di casi contraddittori e di interpretazioni divergenti.
Tuttavia ciò che più di tutto ritengo importante ribadire, che viene prima delle intepretazioni in punta di diritto, riguarda la dimensione politica e culturale. Dove il rischio che vediamo è quello di aggiungere, ad una certa confusione che traspare dalle sentenze, la mancanza di chiarezza sulle specificità delle diverse forme giuridiche del terzo settore. Certo sarebbe bene che si facesse maggiore chiarezza sul piano normativo ed è giusto invocare una revisione delle leggi su associazionismo, volontariato, aps, coordinandole finalmente con la legge sull'Impresa sociale, ma ho l'impressione che alcune affermazioni con le quali si sostiene che le ODV possano partecipare alle gare d'appalto venga sostenuta con eccessiva facilità.
Se certamente la colpa della confusione e dell’errore ricade in primo luogo sui giudici che hanno motivato forse in modo un po superficiale le sentenze in questione, allora perseverare è diabolico. Ed è inquietante che a dirigenti del terzo settore sfugga totalmente il senso dell’assunto un “operatore economico può essere anche un soggetto senza fine di lucro”.
Come noto, le sentenze rispondono ad una fattispecie concreta rispetto all’attore e al convenuto. Nelle sentenze che sono state citate, il convenuto era un’organizzazione di volontariato di cui alla legge 266 del 1991? Queste associazioni hanno uno statuto che preveda i requisiti previsti dalla legge 266/91? Sono iscritte ai relativi registri? Gli esperti delle Misericordie hanno fatto queste verifiche?
La sentenza del Consiglio di Stato 387 del 2013 ha come oggetto un’associazione di volontariato ex legge 266? No è un ATI. L’A.s.for. che fa parte dell’ATI è una OdV?
La stessa cosa per la sentenza del CdS 5882 del 2012. Non sono così certo che la OdV del caso sia effettivamente costituita ed operi ai sensi della legge 266/91, non vi è niente di male in questo, ma non la generalizzazione degli effetti della sentenza che in qualche misura qualcuno si auspicava.
L’Ente Nazionale Sordi di cui alla sentenza del CdS 5956 del 2012 (anche qui in realtà si tratta di un raggruppamento) sempre citata dagli esperti è un’associazione di volontariato? O come si può agevolmente vedere dal sito web della stessa associazione non lo è? Certo è un organizzazione senza finalità di lucro, ma non è un associazione di volontariato.
Ma in realtà non è questo che ci interessa, la disputa giuridica in questo campo potrebbe svilupparsi per decenni. Quello che ci preoccupa è osservare come studi di consulenza legale ed esperti vari non capiscano che per svolgere determinate attività ci voglia un’organizzazione imprenditoriale basata sul lavoro continuativo, sull’applicazione del CCNL, e non sul volontariato spontaneo e gratuito che è una richezza enorme, una risorsa preziosissima per il Paese e, proprio per questa sua grande importanza da tutelare, non va sospinto in terreni in cui la confusione con il lavoro grigio o nero "inquinerebbe la falda" della motivazione, della spontaneità e della trasparenza.
Per tale ragione abbiamo sempre sostenuto la legge sull'Impresa sociale, approvata da ormai 10 anni, ma ancora colpevolmente inoperativa, perchè tutto sommato in troppi preferscono muoversi sui confini delle intepretazioni, invocare sentenze che attribuiscano "la patente", anziché intraprendere la strada lineare e chiara di dare la veste di Impresa Sociale alle attività di rilevanza economica svolte da enti e organizzazioni del terzo settore.
Una scelta che certificherebbe come, per svolgere attività di questa natura, ci vogliono organizzazioni che siano obbligate a redigere un bilancio a norma del Codice Civile, depositato nelle CCIAA e quindi accessibile pubblicamente; imprese che accettino forme di controllo interne ed esterne. All'esplodere del caso San Raffaele, l'amico e predecessore Felice Scalvini ha sostenuto, anche attraverso Vita, che tutte le realtà del terzo settore che esercitano attivitá di rilevanza economica dovrebbero acquisire la natura giuridica di impresa sociale. Cogliamo quindi questa occasione per ridiscutere sul tema nel nostro Paese, forse sarebbe anche più utile che infarcire di inglesismi e big society i nostri dibattiti sul "terzo settore produttivo". Così come sarebbe utile aprire un dibattito serio sull'Impresa sociale, coinvolgendo i protagonisti in un confronto franco ed aperto, anziché infilare emendamenti in decreti e leggi che rischiano di smontare i principi di fondo dell'imprenditoria sociale, descrivendo come innovazione ciò che non lo è, con il rischio di fare passi indietro e veder diliute le identità del terzo settore che sono ancora tra le esperienze più importanti a livello europeo. Le imprese sociali sono diverse e traggono la loro specificità da come svolgono la funzione di impresa, non perchè vendono o realizzano prodotti di rilevanza sociale.
Un'ultima considerazione la rivolgo al rischio che, alimentando la confusione sui perimetri di riferimento degli affidamenti e degli appalti, si possa prestare il fianco a possibili speculazioni che potrebbero nascere anche a causa delle difficoltà di molte Amministrazioni Pubbliche nel garantire i servizi. Quindi si potrebbe ingenerare l'idea che, attraverso queste forme di affidamento, si possa risparmiare sui costi dei servizi. In un periodo di grave crisi come quello che stiamo vivendo e che sta costringendo molte amministrazioni pubbliche a pesantissimi tagli e riduzioni di servizi, si aprirebbero così spazi per opportunisti e speculatori dell'assistenza, che finirebbero per fare un enorme danno alle amministrazioni pubbliche, ai cittadini utenti dei servizi, al sistema di welfare già minacciato e infine al terzo settore tutto, che perderebbe di credibilità e di fiducia, due delle risorse piu preziose e inestimabili, di cui abbiamo invece, proprio ora, una vitale necessità. Noi e il Paese tutto.
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