Volontariato
Appalti al volontariato: i precedenti dicono che si può
Gli esperti delle Misericodie replicano al presidente di Federsolidarietà Giuseppe Guerini e a Giulio D'Imperio: «I giudici italiani e europei dicono che il volontariato ha la strada spianata»
di Leonardo Sacco, vicepresidente nazionale delle Misericordie d'Italia e Pasquale Ribecco, avvocato esperto in appalti pubblici
La recente pronuncia del Consiglio di Stato del 23.01.2013 n.387 ha incentivato un dibattito (vedi nelle correlate), tra gli operatori del terzo settore, nonché tra gli operatori del diritto, circa la possibilità delle associazioni di volontariato, e più in generale dei soggetti del no profit, di partecipare alle gare che hanno per oggetto servizi compatibili con i propri scopi istituzionali.
La recente pronuncia del Consiglio di Stato rappresenta un caso isolato?
Non è proprio così.
In verità, la sentenza del 23 gennaio 2003 è soltanto l’ultima di una sequela di pronunce del giudice amministrativo degli ultimi anni con le quali si è consolidato in seno alla massima autorità giurisdizionale l’orientamento secondo cui le associazioni di volontariato, così come tutte le organizzazioni che non esercitano in via prioritaria attività d’impresa – possono partecipare a procedure di gara per l’affidamento di servizi che siano compatibili con lo scopo sociale delle stesse.
I giudici di Palazzo Spada, infatti, avevano già preso – in modo inequivocabile – posizione sulla questione fin dal 2010 con la sentenza n. 6568 dove si precisava che “ le associazioni di volontariato e le fondazioni possono partecipare alle gare pubbliche di appalto, atteso che l'assenza di fini di lucro non preclude a tali organismi l'esercizio di attività economiche”. Sempre nel 2010, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5956 del 26 agosto 2010 aveva stabilito che “anche i soggetti, come le associazioni di volontariato, che non perseguono uno scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato possono esercitare un'attività economica e hanno perciò titolo a partecipare alle gare per l'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi”. L’orientamento del giudice amministrativo via via consolidatosi nel corso del 2010 ha anche convinto l’Autorità di vigilanza sui Contratti Pubblici che, nel 2010 con la determina del 21 ottobre 2010 n.7, ha modificato il precedente orientamento negativo e ha riconosciuto alle associazioni di volontariato la possibilità di concorrere con gli altri operatori economici per l’affidamento di servizi.
Ancora nel 2011 si registra un’altra sentenza sempre del Consiglio di Stato, la n.4692 con la quale si è affermato che “alla luce della giurisprudenza comunitaria anche le organizzazioni di volontariato possono esercitare un’ attività economica, ed assumere veste di “operatore economico” in concorrenza con altri operatori; sì che non v’è ragione per escluderli dalla partecipazione ad una gara d’appalto”
Nel 2012 il Consiglio di Stato, con la sentenza n.5882 del 20 novembre, ha stabilito che “ciò posto, in ordine al primo motivo, con cui si ribadisce che la Croce Bianca avrebbe dovuto essere esclusa in quanto associazione di volontariato alla stregua della normativa nazionale e comunitaria, la Sezione osserva che è invece orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, pienamente condiviso, che detta normativa consenta anche ai soggetti senza scopo di lucro di partecipare alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici”.
Come si voleva dimostrare, la recente sentenza non è un caso isolato, ma è espressione di un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza interna circa la possibilità delle Associazioni di volontariato di concorrere con le altre imprese per l’assegnazione di servizi.
La partecipazione di un’associazione di volontariato ad una procedura ad evidenzia pubblica altera il mercato e la concorrenza? Anche sotto questo profilo ci soccorre in aiuto la giurisprudenza, chiamata più volte a pronunciarsi sul punto. Questi ha cercato di superare le censure mosse affermando, innanzitutto, che il regime fiscale di favore assiste anche altri soggetti la cui partecipazione a gare pubbliche non è messa in dubbio. È il caso delle cooperative che risultano ammesse alla gara ex lege, lett. a) e b), dell'art. 34 del Codice dei Contratti Pubblici.
In secondo luogo, è stato evidenziato che per quanto riguarda i vantaggi fiscali e di costo del lavoro di cui godono taluni soggetti non lucrativi, tra cui le associazioni di volontariato, "il diritto comunitario consente che possa partecipare a un gara di appalto un soggetto che fruisce di aiuti di Stato, e che in virtù di tali aiuti sia in grado di proporre un'offerta più bassa di quella di altri concorrenti, a condizione che si tratti di aiuto di Stato lecito " (Cons. Stato n. 4236/2009).
In terzo luogo, non v'è dubbio che la partecipazione ad una gara da parte di un ente che possa in quest'ambito far valere una serie di benefici e – sia pur giustificato – un regime fiscale di favore – circostanza, si ripete, che riguarda non soltanto le associazioni di volontariato ma anche altri soggetti come le fondazioni e le cooperative sociali – ha una incidenza di tutto rispetto soprattutto in appalti aggiudicati con il criterio dell'offerta al ribasso sul prezzo a base d'asta. Ma è altresì vero che, normalmente, si tratta di servizi in cui assume rilievo non tanto (o non solo) l'aspetto economico della proposta contrattuale, ma l'aspetto qualitativo dell'offerta. Si può evidenziare che, per un certo tipo di servizi, in particolare quelli sociali e sanitari, sia esigenze oggettive, sia certa legislazione regionale, nonché recente parere dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (determina n. 7 del 24 novembre 2011) inducono la stazione appaltante a privilegiare nell'aggiudicazione di questi contratti il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che si caratterizza per un valutazione di una molteplicità di elementi e non solo quindi quelli più specificatamente di natura economica.
In definitiva, le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici nazionali, sono ormai pacifiche.
Del resto non poteva essere diversamente.
La Corte di Giustizia Europea, alla quale il giudice nazionale non può fare altro che allinearsi, in più occasione aveva affermato che le disposizioni della Direttiva n. 2004/08, che disciplinano la materia dei contratti pubblici, devono essere interpretate nel senso di consentire a soggetti che non perseguono preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato di partecipare ad un appalto pubblico di servizi, affermando che “l'assenza di fini di lucro non esclude che le associazioni di volontariato possano esercitare un'attività economica”.
Naturalmente i problemi che rimangono sul tavolo sono tanti. Urge, a questo punto, una riforma della legge quadro sul volontariato, che tenga in considerazione del mutato quadro giuridico che si è andato definendo nel diritto “vivente” nazionale ed europeo e dei prossimi interventi legislativi in cantiere a livello europeo. In particolare due aspetti meritano di essere evidenziati.
In primo luogo, l’ordinamento giuridico europeo si fonda sul principio di concorrenza quale moderna visione di uguaglianza e opportunità. Il diritto dell’Unione Europea in materia di appalti pubblici, in applicazione dei principi di libera concorrenza, divieto di discriminazione e parità di trattamento, vieta ad una normativa nazionale di procedere alla stipulazione di un contratto o convenzione a titolo oneroso senza una previa gara pubblica. Recentemente, la Corte di Giustizia Europea (sentenza del 19 dicembre 2012, causa C-159/11) chiamata a dare una definizione di contratto a titolo oneroso ha statuito che “ un contratto non può esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione, in esso prevista, sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto”. Dunque, alla luce della richiamata pronuncia, qualsiasi contratto o convenzione che comporti anche il solo “rimborso delle spese sostenute del servizio” costituisce appalto pubblico e per tale ragione deve trovare applicazione una procedura concorsuale che sia idonea a garantire condizioni di parità tra gli operatori economici.
In secondo luogo, sono in dirittura di arrivo le c.d. direttive europee di quarta generazione, che andranno a modificare le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE che fino ad adesso hanno disciplinato la materia degli appalti pubblici. Con le nuove direttive verranno abolite definitivamente le distinzioni tra servizi prioritari e secondari (nei secondari vi rientrano tra gli altri i servizi sociali e sanitari). Lo studio portato avanti in questi anni dalla Commissione Europea ha dimostrato che non è più giustificato limitare l’applicazione della normativa sugli appalti ad un gruppo definito di servizi, ma occorre estendere la normativa anche ai c.d. servizi sociali, che avranno un regime giuridico specifico.
In conclusione, sulla scia tracciata da legislatore e giudice sovranazionali, recentemente il legislatore italiano è intervenuto con il decreto legge n.95 del 6 luglio 2012 convertito con la legge del 7 agosto 2012 n.135 dove all’art. 4 comma 6 è stato previsto che a decorrere dal 1 gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria.
La previsione testè richiamata – sebbene ponga dei problemi interpretativi e di coordinamento con le altre disposizioni del richiamato Decreto legge – fissa per legge, per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico, la possibilità per associazioni e fondazioni di partecipare alle gare pubbliche.
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