Non autosufficienza & Alzheimer
Anziani: la Rsa Aperta funziona, crediamoci di più
In Lombardia, da dieci anni, c'è un servizio che le famiglie apprezzano moltissimo ma che non decolla per il "cap" di budget messo dalla Regione: è la Rsa Aperta, che porta a domicilio servizi sanitari e sociosanitari utili a rimandare l'ingresso in una struttura. Un'esperienza interessante, anche perché la riforma della non autosufficienza entro metà luglio deve ridisegnare la nuova residenzialità per persone anziane: finora però tutto tace
Antonio è un simpatico ottantenne di origine romagnola, rimasto vedovo da poco. È un signore ancora molto attivo, ma con un iniziale decadimento cognitivo. Vive da solo, guida, fa piccoli lavori di bricolage, utilizza il tablet, è un appassionato di musica lirica. I suoi amici purtroppo nel tempo sono venuti a mancare o si trovano in condizioni di fragilità importante. Lui, desideroso di nuove amicizie, si fida di tutti e ha rischiato più di una volta di cadere vittima di truffe. È così che nel 2019 Antonio entra nel servizio di Rsa Aperta di Fondazione Sacra Famiglia.
L’équipe condivide con lui e con la figlia Laura il piano personalizzato: si lavorerà sulla stimolazione cognitiva con Antonio e sul sostegno al caregiver con la figlia. L’educatrice è sempre ben accolta in casa di Antonio. Lui partecipa con entusiasmo alle attività proposte e anche la figlia trae beneficio dal supporto della psicologa. Durante la pandemia gli interventi sono proseguiti da remoto. Dopo due anni di presa in carico, le condizioni di Antonio iniziano a peggiorare e le sue difficoltà con la memoria si ripercuotono sulla gestione della quotidianità: l’équipe accompagna lui e Laura in un percorso di approfondimento diagnostico, che porta a rivolgersi ad una badante H24. Un passaggio delicato, rielaborato insieme all’équipe. Oggi anche la badante è coinvolta nel percorso, attraverso la condivisione di strumenti appropriati per la gestione delle relazioni con Antonio e per proseguire in autonomia gli interventi di stimolazione durante la giornata.
Che cos’è la Rsa Aperta
Nata in Lombardia nel 2013 come sperimentazione, la Rsa Aperta è stata immediatamente un successo tanto che già nel 2014 fu messa a regime. La DGR 7769 del 2018 l’ha potenziata e oggi diverse regioni guardano con interesse a questa misura innovativa che offre la possibilità di usufruire di servizi sanitari e sociosanitari utili a sostenere la permanenza al domicilio della persona anziana non autosufficiente o con demenza il più a lungo possibile, rinviando la necessità di un ricovero in una struttura residenziale. Sul fronte demenza, in particolare, è uno dei pochi servizi regionali che garantisce risposte a tutte le fasi della malattia.
Entrare a casa di una famiglia che vive la fragilità significa entrare in un mondo caratterizzato, spesso, da fatiche fisiche, organizzative ed emotive, un mondo che non sempre può essere incardinato all’interno di un sistema di regole rigido
Stefania Pozzati, Fondazione Sacra Famiglia
«Nel corso degli ultimi anni la misura Rsa Aperta si è progressivamente consolidata e stiamo assistendo ad una crescita dei beneficiari. Le ragioni di tale interesse sono molteplici: sul lato della domanda ci sono i dati relativi all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle demenze, su quello dell’offerta c’è l’evidente beneficio indotto dalla disponibilità di un servizio che contribuisce concretamente a prevenire e/o rinviare i ricoveri nelle strutture residenziali», sottolinea Stefania Pozzati, direttore della Direzione Sociale della Fondazione Sacra Famiglia. «Nel 2023 Fondazione Sacra Famiglia ha seguito 222 anziani erogando più di 16mila interventi al domicilio, con una crescita complessiva del servizio del 20% rispetto all’anno precedente. Il lavoro a domicilio è un lavoro particolare che richiede forti motivazioni e un’adeguata formazione: entrare a casa di una famiglia che vive la fragilità significa entrare in un mondo caratterizzato, spesso, da fatiche fisiche, organizzative ed emotive, un mondo che non sempre può essere incardinato all’interno di un sistema di regole rigido», spiega Pozzati.
«L’apertura al confronto confermata dalla recentissima DGR 2508 di Regione Lombardia va nella direzione di una crescita di questo servizio, affinché oltre a raggiungere un maggior numero di anziani si possa cucire davvero il piano di intervento sulle specificità della persona e sull’evoluzione delle condizioni di bisogno. L’auspicio degli Enti gestori è di proseguire nel confronto con la Regione, per orientare le scelte di politica sociosanitaria attraverso la condivisione di esperienze concrete».
Un’Adi evoluta e specializzata
Fabrizio Giunco è direttore del Dipartimento Cronicità di Fondazione Don Carlo Gnocchi. In Lombardia, sulla Rsa Aperta, con poco meno di 400 persone con demenza in carico e 4mila accessi al mese, sono il primo player regionale. «La sperimentazione partì non a caso dal nostro Palazzolo, insieme al Trivulzio e al Golgi-Redaelli, cioè realtà già abituate a lavorare con persone con demenza, che già avevano servizi ambulatoriali specialistici per la diagnosi della malattia, servizi di cure intermedie e nuclei speciali Alzheimer», ricorda.
L’idea alla base della Rsa Aperta è quella di potenziare e specializzare l’Assistenza Domiciliare Integrata tarandola meglio sui bisogni delle persone con demenza, inviando a domicilio altri operatori: educatori, psicologi, neuropsicologi e terapisti occupazionali
Fabrizio Giunco, Fondazione Don Gnocchi
«L’idea alla base della sperimentazione infatti era quella di potenziare e specializzare l’Assistenza Domiciliare Integrata tarandola meglio sui bisogni delle persone con demenza: tant’è che inizialmente non si chiamava Rsa Aperta, ma “AdiDem”. Il punto di partenza era l’osservazione che l’Adi tradizionale, con Asa, Oss, infermieri e fisioterapisti, rispondeva poco ai bisogni della persona con demenza e così si è pensato di sperimentare l’invio a domicilio di altri operatori: educatori, psicologi, neuropsicologi e terapisti occupazionali. Con una presa in carico che fin dall’inizio è stata pensata non solo per la persona, ma anche per garantire un supporto globale alle necessità della famiglia».
Il servizio funziona, perché risponde a un bisogno che esiste e lo fa in modo coerente. Nell’evoluzione successiva si sviluppano due filoni: quello dedicato alle persone con demenza e quello per anziani non autosufficienti. Il nome di Rsa Aperta viene dal fatto che quello che viene messo in campo sono il know how, la professionalità e il modus operandi che la Rsa ha già in casa: la novità è che porta tutto questo fuori, sul territorio.
La Rsa Aperta piace talmente tanto da spingere Regione Lombardia a correre ai ripari, mettendo un cap al budget disponibile: «I primi tempi sono stati un “ottovolante” e più volte sono stati messi dei “freni” per bloccare la crescita del servizio, con alti e bassi che non sono stati facili da gestire: difficili per le famiglie e per le organizzazioni. Negli ultimi anni la Regione poi ha riconosciuto il valore del servizio e ha costantemente aumentato il budget disponibile. Capiamo le ragioni, ma questo è il “prezzo del successo”: quando un servizio funziona, lo vorrebbero in tanti», afferma Giunco.
La domanda c’è, il servizio è disegnato bene. Certamente richiede operatori ed équipe formati, ma il know how c’è. Gli utenti apprezzano, le famiglie pure. Tanto che alcune regioni hanno replicato il modello, con nomi che fanno riferimento all’idea di una Adi evoluta.
Il limite del budget
Il sistema tariffario della Rsa Aperta prevede un tetto di budget per anno per ogni ente erogatore, articolato per trimestre, che non va sfondato. Poi c’è un budget specifico per persona, per cui non si possono erogare prestazioni per più di 4mila euro all’anno. Il meccanismo implica che più bisogni hai e meglio compongo il mix di operatori, prima finiscono i soldi. «La presa in carico tramite Rsa Aperta potenzialmente può accompagnare le persone per tempi lunghi, ma la verità è che – almeno noi – non riusciamo mai ad arrivare a fine anno: la persona resta in carico 7 o 8 mesi, poi arriviamo al tetto dei 4mila euro e siamo costretti a dimettere per poi riammettere la persona nell’annualità successiva. Questo è un primo problema».
La persona resta in carico 7 o 8 mesi, poi arriviamo al tetto dei 4mila euro fissato dalla Regione e siamo costretti a dimettere, per poi riammettere la persona nell’annualità successiva
Fabrizio Giunco
Il secondo ha a che fare con il Pnrr, che ha previsto il potenziamento dell’Adi per arrivare alla copertura del 10% dei potenziali beneficiari. Le Regioni hanno messo dentro il bouquet dell’Adi tutto ciò che arriva al domicilio delle persone, a volte persino la persona che riceve un singolo accesso per un prelievo endovenoso. E la Rsa Aperta ci rientra a pieno titolo, insieme all’Adi vera e propria, alle cure palliative domiciliari, agli accessi domiciliari del medico di famiglia. La conseguenza più diretta è stata l’aumento del numero di persone raggiunte, ma non necessariamente dell’intensità delle prestazioni. Ma prima occorre fare un passo indietro.
«Regione Lombardia ha allineato la remunerazione per singola prestazione a quelle del consolidato servizio Adi, riconoscendo così il valore di una misura che sostiene l’anziano e la sua famiglia all’interno del proprio contesto di vita», spiega Stefania Pozzati di Sacra Famiglia. «E ha aumentato la cifra riconosciuta per la remunerazione degli operatori», aggiunge Fabrizio Giunco. Una cosa buona, se non che valorizzando il costo dell’operatore, i 4mila euro a persona finiscono prima.
Più teste o più prestazioni?
Ed è qui che si inserisce la DGR 2508 dello scorso 10 giugno che prevede margini di “sforamento motivato” del budget di 4mila euro anno per la
misura della Rsa Aperta almeno per i percorsi di presa in carico che proseguono in continuità con le attività già definite nel 2023 e che, in conseguenza dell’incremento tariffario sovvenuto, dovessero superare nel 2024 il tetto del budget individuale annuale.
«La preoccupazione dei gestori riguardava il rischio di dover ridurre il numero di prestazioni per non superare il budget annuale», annota Pozzati. La risposta? «Nessun aumento del budget per il singolo, che resta a 4mila euro», spiega Giunco. D’altronde la delibera dice che l’analisi dei dati consolidati relativi all’attività anno 2023 ha confermato un utilizzo medio del budget individuale annuale per la Rsa Aperta pari a 2.500 euro, ampiamente inferiore al tetto del budget individuale, che solo il 3% degli utenti superava il tetto dei 4mila euro e che circa 3 utenti su 4 presentavano un consumo di prestazioni inferiore ai 3.250 euro: «Questo accade perché molti erogatori hanno aderito alla Rsa Aperta ma non credendoci fino in fondo, non hanno spinto sull’acceleratore, oppure non avevano operatori di maggior livello specialistico», continua Giunco. «Resta però il tema di fondo, anche quando si hanno gli operatori e le competenze per garantire risposte molto qualificate la “scure” dei 4mila euro arriva inesorabile, oggi prima di ieri. La Regione paga meglio, ma il budget individuale finisce prima».
Più positiva Pozzati: «Nel 2023 la Rsa Aperta ha beneficiato delle risorse Pnrr, integrando le risorse disponibili per singolo Ente con sottoscrizione di specifici contratti di scopo. La DGR 2508 dello scorso 10 giugno estende anche al 2024 la possibilità di accedere ai contratti di scopo su finanziamento Pnrr e fornisce alcuni chiarimenti in merito al tetto di budget per singolo utente di 4mila euro/anno. Nei fatti la DGR fornisce le indicazioni tecniche sull’utilizzo del budget aprendo ad uno specifico monitoraggio e confronto delle Ats sull’andamento della misura e sulla sua auspicata ulteriore crescita, oltre ad un monitoraggio da parte della Dg Welfare di Regione Lombardia orientato ad affinare ulteriormente i criteri di utilizzo della misura».
La riforma e la nuova residenzialità da disegnare
Lo scorso 18 marzo è entrato in vigore il decreto legislativo n. 29 ossia la tanto attesa riforma della non autosufficienza. Al suo interno dovrebbe esserci anche un ripensamento della residenzialità per le persone anziane non autosufficienti, che nel testo (artt. 30-31) resta tuttavia solo accennato (oltre al fatto che mentiene la separazione tra servizi residenziali e semiresidenziali sociosanitari e socioassistenziali, mentre un cardine della presa in carico della non autosufficienza è proprio il superamento della frammentazione tra i due ambiti). Il decreto del Ministero della Salute che dovrebbe dettagliare meglio i requisiti della “nuova” residenzialità sociosanitaria è atteso entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, quindi attorno alla metà di luglio: la discussione pubblica sul tema è a zero, quella tecnica speriamo di no.
Foto di Sacra Famiglia
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