Welfare da rifare
Anziani e persone con disabilità, a carico delle famiglie il 20% della spesa sociale
Un quinto della spesa totale per il welfare è quasi interamente a carico dei cittadini, che nel 2024 per il welfare familiare (salute e assistenza ad anziani e disabili) hanno speso 138 miliardi di euro, ovvero quasi 5.400 euro per ciascun nucleo. Lo dice “Sussidiarietà e… welfare territoriale”, il rapporto della Fondazione per la sussidiarietà. Il presidente Giorgio Vittadini: «Investire sullo Stato sociale, non è solo un dovere di solidarietà verso i più fragili, ma significa anche costruire società più coese e una crescita economica più stabile»
di Alessio Nisi
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Un sistema sbilanciato verso il trasferimento monetario rispetto alla più efficace offerta di servizi. Un modello incentrato sull’offerta di servizi parcellizzati e non sulla presa in carico della persona. Con una governance policentrica che causa duplicazioni e inefficienze, un rapporto pubblico-privato sociale troppo soggetto alle regole di mercato. E con la mancanza di un sistema di monitoraggio dei bisogni e di valutazione della qualità dei servizi.
Un sistema non efficiente, né sostenibile: il 20% della spesa totale per il welfare è quasi interamente a carico delle famiglie, che nel 2024 per il welfare familiare (salute e assistenza ad anziani e disabili) hanno speso 138 miliardi di euro, ovvero quasi 5.400 euro per ciascun nucleo.
Un impegno consistente, che colma il vuoto lasciato in molti settori dall’intervento pubblico. Un dato che va letto con quello dell’impegno del Paese in termini di spesa sociale: circa 620 miliardi di euro, pari al 30% del prodotto interno lordo: siamo al secondo posto in Europa. Il nostro, per essere chiari, è un sistema di welfare tra i più costosi del vecchio continente.
Questa la situazione del welfare territoriale italiano (l’insieme dei servizi sociali di competenza dei comuni che comprendono l’assistenza verso anziani, famiglie e soggetti minori in stato di bisogno, disabili, soggetti affetti da dipendenza, indigenti, persone emarginate dal lavoro) emersa da Sussidiarietà e… welfare territoriale, rapporto della Fondazione per la sussidiarietà – Fps, realizzato in collaborazione con Aiccon, Ifel, Ipsos e Istat, con il contributo di Fondazione Cariplo, presentato nel corso di un incontro aperto dal Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta.
È venuto il momento di rinnovare il patto sociale che ci unisce, con la cultura della sussidiarietà, che è ricerca del bene comune attraverso la messa a sistema del contributo di tutti. Più società e più Stato insieme
Giorgio Vittadini – presidente di Fondazione per la sussidiarietà
Risposte innovative per affrontare disuguaglianze crescenti
Il Rapporto 2024 della Fondazione, il diciottesimo, analizza il welfare italiano, in particolare quello territoriale, evidenziando i fattori principali che riguardano la percezione dei cittadini, la spesa, la governance e le prospettive della sua sostenibilità.
La premessa di partenza? Il sistema di welfare è al centro di trasformazioni epocali che richiedono risposte innovative per affrontare disuguaglianze crescenti e un contesto socio-economico sempre più complesso.
«Investire sullo stato sociale, sulla sua universalità e inclusività, non è solo un dovere di solidarietà verso i più fragili, ma significa anche costruire società più coese, sistemi più resilienti e una crescita economica più stabile», spiega Giorgio Vittadini, presidente di Fondazione per la sussidiarietà.
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Il 10% della popolazione è in difficoltà
A minare la sostenibilità del sistema nel lungo periodo sono in prevalenza i livelli in aumento di povertà e disuguaglianza, che i servizi di welfare sono chiamati a limitare, e gli effetti dell’inverno demografico: ovvero bassi tassi di natalità, allungamento della durata della vita, con il conseguente aumento del numero di anziani (che saranno il 33% della popolazione entro il 2050) e fragilità delle reti familiari. Cambiamenti che accrescono la domanda di servizi socio-sanitari e assistenziali, a fronte di una carenza di risorse e personale qualificato.
Dallo studio risulta che il 5% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza, mentre quasi il 10% della popolazione è in difficoltà. Particolarmente grave la situazione delle famiglie con persone disabili: oltre un quarto (28,4%) è a rischio povertà o esclusione sociale.
La ricerca segnala che negli ultimi tre anni una quota significativa (tra il 67% e l’80%) di chi ha richiesto assistenza ha incontrato difficoltà o impossibilità di accesso ai servizi del welfare territoriale negli ultimi tre anni.
Disomogeneità della spesa e disparità tra Nord e Sud
Dalla ricerca risulta inoltre un sistema caratterizzato da disomogeneità della spesa, con una crescente disparità territoriale tra Nord e Sud, tra aree urbane e periferiche, e tra zone interne e non. Nelle regioni del sud Italia la spesa pro-capite per il welfare territoriale (72 euro) è circa la metà della media nazionale (142 euro).
Un modello che per gli italiani va ripensato. Il giudizio dei cittadini sui servizi rivolti alle fasce più vulnerabili, come anziani non autosufficienti e persone con disabilità, è fortemente critico: solo il 40% delle persone li valuta in modo positivo. Anche i servizi a supporto delle donne vengono giudicati insufficienti o di difficile accesso.
Solo il 38% dei cittadini promuove le politiche per la lotta alla povertà e al disagio sociale, indicando la necessità di un ripensamento delle strategie di contrasto all’indigenza.
Di fronte all’assenza o inadeguatezza dei servizi chi può permetterselo paga di tasca propria. Chi invece non ha le risorse necessarie rinuncia o attende, creando così un “popolo di vulnerabili in sala d’attesa”.
Allocazione sbilanciata della spesa. Le prestazioni pensionistiche (comprensive di vecchiaia, invalidità e superstiti) assorbono quasi la metà di tutta la spesa sociale, mentre alle politiche sociali (famiglie e minori, disabilità e disoccupazione) è destinato meno del 20%.
Dalla mancanza di un esame approfondito dei bisogni consegue poi un’offerta di servizi non solo rigida, ma anche obsoleta e incapace di aggiornarsi.
Il sistema di welfare non è solo uno strumento di equità sociale ma anche un motore essenziale per lo sviluppo economico di un paese. In un contesto caratterizzato da informazione imperfetta e mercati finanziari incompleti, il welfare riduce l’incertezza, mettendo le persone nella condizione di poter assumere rischi, ad esempio avviando un’attività imprenditoriale innovativa
Fabio Panetta – Governatore della Banca d’Italia
Governance, cresce l’impegno del non profit
Il welfare territoriale in Italia è caratterizzato da una complessa struttura istituzionale, con competenze distribuite tra Stato, Regioni e Comuni, carenza o assenza di coordinamento e integrazione dei ruoli. Una situazione che causa sovrapposizioni, stratificazioni, sprechi e inefficienze.
La frammentazione degli interventi di welfare riflette la loro territorializzazione, ma rischia di far perdere di vista l’orientamento verso la persona. È necessario sviluppare una logica di costruzione relazionale, in grado di generare capitale sociale.
Ad oggi, il contributo delle istituzioni non profit nel rispondere alla domanda di welfare territoriale è in crescita (+5,3% di istituzioni non profit dal 2016 e +11,3% di persone impegnate). In generale, le strutture che in Italia svolgono attività di welfare sono 85.574, di cui il 68,8% enti non profit e il 31,2% istituzioni pubbliche.
Nel complesso sono impegnati nel welfare circa 1 milione e 600mila lavoratori (il 43,6% nelle istituzioni non profit e il 56,4% nelle istituzioni pubbliche). È prevalente il peso delle istituzioni non profit nel settore dell’assistenza sociale, con l’88,4% degli enti e l’85,7% degli addetti.
La persona al centro e sussidiarietà
Il processo di ripensamento del welfare territoriale, secondo lo studio, deve seguire due criteri guida: centralità della persona e sussidiarietà
Centralità della persona. Dal rapporto si evidenzia l’importanza di passare da una visione amministrativa dei bisogni a un approccio olistico che riconosca la complessità e la specificità delle esigenze individuali e comunitarie, mettendo al centro la persona.
Sussidiarietà. È il principio costituzionale e la prassi che promuove la messa a sistema e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti, a partire da quelli più prossimi al bisogno, che abbiano maturato competenze ed esperienza, in modo da assicurare risposte adeguate, in un contesto in i soggetti pubblici sono chiamati a stabilire gli obiettivi di qualità dei servizi e monitorare il loro perseguimento.
Più risorse sul capitale umano
Da qui, tra le proposte, puntare all’orizzonte della presa in carico della persona, che parta dalla valutazione del complesso dei suoi bisogni per poi individuare il piano di servizi più appropriato.
Si auspica una progettazione integrata dei servizi e un sistema di valutazione della loro qualità, la creazione di centri territoriali per servizi integrati e accessibili, una regia centrale dei flussi di spesa.
E poi ancora, un aumento degli investimenti sul capitale umano, sull’istruzione e formazione continua del personale che a diversi livelli si occupa di servizi di welfare, e aumento degli investimenti e dei servizi alle famiglie e ai caregiver.
Si propone anche l’implementazione di forme di monitoraggio centralizzato dei bisogni e della spesa effettivamente utilizzata e misurazione della capacità di spesa degli enti preposti all’erogazione dei servizi a tutti i livelli di governo.
E, non da ultimo, si propone un rafforzamento della collaborazione tra pubblica amministrazione e Terzo settore che parta dell’analisi dei bisogni, esca dalle logiche di mercato, che sia orientata alla condivisione della lettura dei bisogni, delle conoscenze per farvi fronte e della gestione dei processi, anche di valutazione.
In apertura foto di De an Sun per Unsplash
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