Non profit
Antropologie del gioco e diseconomie dell’azzardo
Quando si corrompe il gioco, si corrompe tutto: la nostra possibilità di stare al mondo, di guardare all'altro come Altro, non come mero ostacolo o oggetto di consumo. Ecco perché l'azzardo, corruzione del gioco, è veicolo di degrado e povertà antropologica, oltre che etica ed economica
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«Caro Theo (…), in una mattina piovosa, sono passato davanti all'ufficio della lotteria di Stato. Una folla di persone era lì in attesa di ottenere i biglietti della lotteria. Per la maggior parte si trattava di donne anziane e del tipo di persone di cui è impossibile dire che cosa fanno e come vivono, ma che evidentemente devono arrabbattarsi per provare a vivere». Così scriveva Vincent Van Gogh al fratello Theo, commentando un suo progetto di lavoro, sui "poveri e il denaro". Era il 1 ottobre 1882 e quel progetto prese parzialmente corpo in un acquerello, L'ufficio della lotteria, oggi conservato al Museo Van Gogh di Amsterdam.
Da questo lavoro, dalle donne e dagli uomini curvi in attesa di acquistare un barlume di speranza – inevitabilmente usurpata e tradita – parte la riflessione del nostro Marco Dotti che, ieri, è intervenuto ai microfoni di Radio Vaticana, nella trasmissione Al di là della notizia, per presentare il bookazine di Vita di marzo dedicato a No Slot Karma. Qui potete riascoltare l'audio del suo dialogo con Emanuela Campanile.
Fra antropologie del gioco, orizzonti (ben poco aperti) del digitale e insidie del gambling riappare il tema di fondo già toccato dallo sguardo di Van Gogh: la produzione di povertà, la sudditanza alla tecnica di saperi sempre meno radicati nell'umano, l'asservimento scambiato per libertà. Un post-capitalismo dell'inganno (phishing), come lo chiamano i premi Nobel Akerlof e Shiller, che contraddice l'economico, il politico, l'umano. Un «surrogato della vita eterna»: così, infatti, Papa Francesco ha chiamato l'idolo-azzardo.
In copertina: Vincent Van Gogh, La lotteria di Stato, 1882 (Van Gogh Museum / Vincent van Gogh Foundation)
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