Fondazioni

Antiusura, la legge 108 è superata e va modificata

Un provvedimento che risale al 1996, tanto inseguito ma ormai obsoleto. Gli operatori del settore indicano le strade per compiere un salto di qualità e adeguarsi ai tempi. Dal 1992 ad oggi le fondazioni antiusura hanno erogato oltre mezzo miliardo di euro, ma c'è ancora un preoccupante sommerso

di Luigi Alfonso

Trent’anni sono sufficienti per considerare obsoleta una legge nazionale? Non esiste una regola fissa, sia chiaro, ma nel caso della legge n. 108 del 1996 si può dire che siano tutti d’accordo: è ormai superata, il mondo nel frattempo è cambiato radicalmente e questo provvedimento ha bisogno di un restyling. Almeno in alcune sue parti. La cosiddetta legge antiusura di anni ne ha 28 e non esattamente 30, ma è pur vero che il fenomeno da contrastare non si riferisce soltanto all’applicazione di tassi fuorilegge. Di questo e di altro si è parlato nei giorni scorsi a Cagliari, in un convegno organizzato dalla Fondazione antiusura “Sant’Ignazio da Laconi”, in occasione dei festeggiamenti per il 25esimo anniversario della sua costituzione. Tra gli altri erano presenti i componenti del consiglio direttivo della Consulta nazionale antiusura “San Giovanni Paolo II”, l’organismo che riunisce le 35 Fondazioni italiane impegnate in questo ambito, quasi tutte afferenti alle realtà diocesane territoriali. Qualche dato: nel corso del 2023, le 35 realtà hanno effettuato 5.379 ascolti e fatto 799 erogazioni garantite con fondi di Stato, per un importo complessivo di 16 milioni 190mila euro. Dal 1992 (anno in cui fu istituita la prima Fondazione, la “San Giuseppe Moscati” di Napoli) al 31 dicembre 2023, sono stati complessivamente erogati oltre 523 milioni di euro a fronte di 160.554 ascolti e 24.690 erogazioni. E questo nonostante un sommerso ancora difficile da far emergere, per svariati motivi.

Un momento del convegno sull’antiusura a Cagliari

«Da diversi anni cerchiamo di richiamare l’attenzione della classe politica per mettere mano alla legge di settore», spiega il presidente della Consulta, Luciano Gualzetti. «Un aspetto evidente riguarda la perequazione tra le due tipologie di beneficiari, vale a dire i singoli privati e le famiglie da una parte, gli imprenditori dall’altra. I dati, da tempo, parlano chiaramente: le Fondazioni spendono quasi interamente le risorse assegnate, mentre al contrario i Confidi erogano una piccola parte di esse. Eppure, questi ultimi ricevono la fetta più grande di questi fondi (il 70 per cento, ndr). Comprendo che l’intento del legislatore fosse quello di aiutare coloro che investono e rischiano risorse più ingenti, ma la realtà ci dice che è andata diversamente. Ecco, credo che si possa arrivare a una più equa distribuzione, diciamo 50 e 50. In questo modo, le Fondazioni potranno aiutare molte famiglie in più a uscire da situazioni davvero difficili: con i fondi del ministero dell’Economia e delle finanze – Mef, infatti, si pongono le garanzie sulle pratiche deliberate ed erogate a favore di chi si è trovato in condizioni di usura o di sovraindebitamento».

Luciano Gualzetti, presidente della Consulta nazionale antiusura

Tra le varie proposte avanzate, quella di redistribuire i soldi non utilizzati, dividendoli tra le Fondazioni. Altro aspetto interessante riguarda la possibilità delle banche di accantonare delle somme, a fronte dei fondi del Mef depositati presso di loro, in modo tale che siano equiparate ai fondi pubblici. Se avvenisse ciò, le banche non sarebbero tenute a fare accantonamenti sui rischi derivanti dai prestiti erogati a persone non bancabili. Questo meccanismo è molto “tecnico”: in sostanza, fa aumentare il rating nonostante i fondi di garanzia che intervengono attraverso le Fondazioni antiusura. Sino a quando non sarà modificato questo meccanismo, gli istituti di credito saranno costretti a sottrarre ingenti quantitativi di denaro che potrebbero, invece, essere investiti diversamente e a beneficio di altre persone. Ricordando un particolare non secondario: la legge 108/96 aiuta anche le singole persone e i nuclei familiari che si trovano in condizioni di sovraindebitamento, a volte causato dal gioco d’azzardo o da spese voluttuarie non sostenibili, ma spesso originato dalla perdita del lavoro, da una separazione coniugale, da una grave malattia o comunque da un episodio imprevedibile.

«L’organismo che governa queste procedure, che un tempo erano in capo alla Banca d’Italia, oggi è la Banca centrale europea – Bce, e con essa l’Eba (l’equivalente dell’Abi a livello europeo, ndr)», hanno fatto notare diversi relatori, in rappresentanza di alcune banche e delle Fondazioni. «I soldi che le Fondazioni antiusura ricevono dal Mef sono fondi pubblici, non si capisce perché ci siano ancora tutte queste limitazioni».

«I 25 anni della Fondazione “Sant’Ignazio da Laconi” consentono di festeggiare un ciclo importante di gratuità, di amore e di aiuto a tante persone che erano, e sono, nel bisogno», è il parere di monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana – Cei. «Questo vale anche per le altre realtà italiane del settore. Questo incontro è stato anche un’occasione per riflettere non solo sul tema dell’usura ma anche sul modello di sviluppo economico che noi viviamo, per riflettere sulla necessità che noi abbiamo di accompagnare le persone in difficoltà, privandole anche di quel senso di vergogna che spesso è connaturale al loro stato. E poi una riflessione sul tema della prevenzione attraverso la diffusione di una serie di stili di vita che siano realistici, che non vadano a inseguire i miti, che non vogliano sacrificare sull’altare di qualche comodità di moda interessi fondamentali come il benessere della propria famiglia. Uno dei temi fondamentali è certamente quello del lavoro perché, assicurando la possibilità di un credito, la Fondazione antiusura punta tutto sulla capacità dell’Uomo di lavorare e, quindi, di diventare protagonista del proprio riscatto. Non abbassiamo la guardia perché c’è ancora tanto da fare».

Padre Basilio Gavazzeni racconta la sua odissea

Tra le testimonianze emerse, non va dimenticata quella di Padre Basilio Gavazzeni, presidente della Fondazione lucana antiusura “Monsignor Vincenzo Cavalla” di Matera, il quale ha ripercorso in estrema sintesi la sua agghiacciante vicenda giudiziaria. «Nel 1992, quando ero parroco a Matera ormai da due lustri, strappai agli usurai un imprenditore edile disperato. Nel giro di tre giorni gli prestai 186 milioni di lire. Un anno dopo, il gesuita Massimo Rastrelli (colui che ha fortemente voluto la Fondazione “San Giuseppe Moscati” a Napoli, ndr) mi sconsigliò caldamente la pratica parrocchiale del prestito diretto, anche se mi disse: “Intravvedere l’usura è una grazia”. Pochi mesi dopo, insieme ad Angelo Festa e Padre Severino Donadoni, costituimmo il Comitato lucano antiusura. Nell’aprile 1994 convinsi una vedova con figlia adolescente a denunciare l’usuraio che la insidiava: la Polizia lo colse in flagrante. Poco dopo mi giunsero avvertimenti inequivocabili: ero in pericolo. Infatti, il 6 maggio dello stesso anno fecero saltare il portale della mia parrocchia con un chilogrammo di tritolo. Seguirono altre minacce, tuttavia quell’episodio diede la spinta per arrivare alla costituzione della Fondazione “Monsignor Vincenzo Cavalla”. La Consulta nazionale nacque a Bari nel maggio 1995. Tutto bello, si direbbe. Invece no: il 26 settembre 1998 a me, al presidente Festa e ad altri membri del consiglio di amministrazione della Fondazione viene consegnato un avviso di garanzia, in cui si ipotizza il reato di stornamento e malversazione. Inizia, così, un lungo cammino tra le maglie della giustizia che non sto qui a raccontare perché sarebbe lungo e farebbe capire tante cose su come gira l’Italia. Alla fine, sono stati citato in giudizio per ben tre volte».

Padre Basilio è uno dei “profeti” che, per primo, ha avuto il coraggio di portare il tema dell’usura alla ribalta nazionale. «Ma, nel tempo, ho pestato i piedi a molta gente», commenta amareggiato. «Il primo marzo 2004, il tribunale di Matera ha prosciolto me e Angelo Festa dall’imputazione che ci era stata ascritta. Perché “il fatto non sussiste”. Siamo stati nella tormenta giudiziaria cinque anni e cinque mesi. Ma nessuno ci ha chiesto perdono, e non c’è stato alcun risarcimento. Anzi, abbiamo dovuto corrispondere agli avvocati di fiducia oltre 33mila euro di spese legali. Nella sentenza è apparso chiaro che gli inquirenti non avessero compreso lo spirito della legge 108/96, la quale è certamente da modificare ma ai suoi tempi è stata un’importante ventata di novità che ha salvato molte vite dalla tragedia, se non dal suicidio».

Credit: foto d’apertura di Lukasz Radziejewski su Unsplash

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