Vecchi e nuovi razzismi
Sos antisemitismo
La guerra tra Israele ed Hamas ha fatto esplodere manifestazioni antisemite in tutto il mondo, da Roma a Londra, da Parigi a Washington, dal Nicaragua a San Paolo del Brasile. VITA ha intervistato Emanuele Ottolenghi, ex docente ad Oxford, Senior Fellow della Foundation for Defence of Democracies -Fdd
di Paolo Manzo
Per capire il fenomeno dell’antisemitismo, condannato oggi da Papa Francesco che lo ha definito «preoccupante», VITA ha intervistato Emanuele Ottolenghi, Senior Fellow della Foundation for Defence of Democracies (FDD), un think-tank indipendente specializzato in politica estera e che ha condiviso la sua esperienza con le amministrazioni Bush, Obama, Trump e Biden. Oltre ad avere insegnato ad Oxford, Ottolenghi è tra i massimi esperti al mondo di antisemitismo e ha scritto un libro per Lindau, “Autodafé. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo”.
Da dove partire per comprendere il risorgere dell’antisemitismo oggi?
Dal fatto che storicamente la destra estrema e la sinistra estrema hanno una matrice ideologica comune che è il totalitarismo, ovviamente con interpretazioni diverse a seconda del periodo storico. Pur contrapposte nell’ideologia condividono lo stesso rigetto totale dei valori democratici e liberali delle società aperte. Inoltre hanno entrambe una propensione ad interpretare gli eventi attraverso la lente delle teorie del complotto. A tutto questo patrimonio comune si aggiunge infine l’antisemitismo.
Non è bastato l’Olocausto per estirpare questo orrore?
L’antisemitismo non ha mai cessato di esistere. Neanche dopo la seconda guerra mondiale, quando quello di destra, razzista e nazifascista, è stato spinto ai margini della società e privato di ogni accettabilità culturale, istituzionale e legale.
Basti pensare alla esclusione del Movimento Sociale dalla partecipazione ai governi durante tutta la prima Repubblica italiana. Gli eredi del MSI hanno finalmente compreso negli anni 90 di dover fare una profonda revisione storica delle loro radici. Essenzialmente per ripudiare una parte centrale del loro passato e diventare una forza di governo. Lo abbiamo visto con la transizione prima ad Alleanza nazionale e poi a Fratelli d’Italia, che hanno cercato di presentarsi come una destra conservatrice ma costituzionale.
Dopo il 1945 in tutto l’Occidente è rimasto un residuo di antisemitismo manifestatosi a più riprese anche in maniera letale. Pensiamo all’attacco del 2018 in una sinagoga di Pittsburgh per mano di un neonazista che ha ucciso undici persone.
Quindi non è un fenomeno da sottovalutare. Fino ad oggi le società occidentali hanno in gran parte dimostrato di aver metabolizzato la terribile esperienza storica dell’antisemitismo fascista e nazista. E lo hanno condannato e spinto ai margini della società.
Per questo abbiamo una legislazione in Europa che criminalizza l’apologia del nazifascismo ed il negazionismo dell’Olocausto. E per questo abbiamo istituzionalizzato per legge l’obbligo della memoria della Shoah. Ci sono studi sull’Olocausto nelle scuole, ci sono viaggi organizzati ad Auschwitz.
Tutte cose fatte per inoculare le nostre società con un anticorpo contro quel tipo di antisemitismo. Un lavoro durato quasi ottant’anni e quando l’antisemitismo di destra si manifesta, sia in Europa che negli Usa, c’è un’immediata reazione. Di condanna, di ripudio, di legislazione, di mobilitazione pubblica per isolarlo.
Purtroppo esiste però anche un antisemitismo di sinistra.
Sì, e che per molti aspetti strumentalizza gli stessi stereotipi comuni all’antisemitismo nazifascista. Per esempio le teorie del complotto secondo le quali gli ebrei controllano i media e la finanza. Oppure l’inversione morale dell’equivalenza di Israele con il regime dell’apartheid o peggio ancora con i nazisti.
Tutto questo per relativizzare l’Olocausto e sminuirne l’importanza. Equiparare Israele agli aguzzini nazifascisti degli ebrei non fa altro che demonizzarlo fino al punto da giustificarne la sua distruzione.
Si tratta di strumenti che la sinistra radicale usa e che vediamo irrompere nel dibattito pubblico in coincidenza con le recrudescenze periodiche del conflitto mediorientale.
Poi c’è l’altro fenomeno, quello di un allineamento ideologico e politico di parte della sinistra occidentale con i movimenti radicali islamici, descritti come manifestazioni di lotta e resistenza legittima all’oppressione.
E qui entrano in gioco teorie care a parte della sinistra, come per esempio il diritto degli oppressi a qualsiasi tipo di violenza come strumento liberatorio. Teorie basate su parte degli scritti di Frantz Fanon, molto popolare negli anni 60. Oggi usati per giustificare la violenza di Hamas, Hezbollah e altri movimenti che ricorrono al terrorismo ed alla violenza sistematica contro i civili.
Il riconoscimento di Hamas ed Hezbollah come movimenti legittimi con il diritto di usare la violenza indiscriminata in nome di un’idea romantica della resistenza è comune ai movimenti della sinistra radicale occidentale. E questo li spinge a considerarli alleati nonostante siano misogini, anti omosessuali. illiberali, contrari alla libertà di pensiero e di religione.
Tutti valori che la sinistra dovrebbe sostenere e che invece quella radicale ignora per una visione del mondo mirata a scardinare il sistema liberaldemocratico occidentale delle società aperte. È in questo contesto che avviene la convergenza tra sinistra, islam radicale e nazifascismo. Il problema, ovviamente, è quando le manifestazioni di antisemitismo si producono non nel contesto di movimenti razzisti, antisemiti di destra inneggianti all’Olocausto e al nazifascismo, ma di una sinistra che questo antisemitismo lo edulcora facendolo passare come una battaglia per i diritti umani e dei popoli.
Cosa sta succedendo nelle nostre società?
Purtroppo oggi la politica, le istituzioni e l’opinione pubblica non riescono a condannare l’antisemitismo nella stessa misura in cui lo fanno quando viene dall’estrema destra. E, quindi, si crea un ambiente in cui aumentano gli attacchi contro gli ebrei, contro le loro case di preghiera, le loro scuole, le loro istituzioni, il loro diritto a esprimere un’opinione contraria in ambito accademico, nelle università e nei campus.
E questo attacco si giustifica in qualche modo perché quegli ebrei che si rifiutano di unirsi al coro di condanna di Israele sono già stati bollati come apologhi di un paese descritto come la nuova versione del nazismo e dell’apartheid. Questo è il problema che esiste oggi.
C’è un antisemitismo a destra, c’è un antisemitismo a sinistra e c’è un antisemitismo in seno all’islam radicale, ma le nostre società sono molto più preparate a riconoscere e condannare quello che viene da destra che quello che viene da altre fonti.
Per capire le matrici ideologiche di Hamas, dobbiamo parlare della Fratellanza musulmana, di cui fa parte.
La Fratellanza musulmana nasce negli anni venti del secolo scorso in Egitto come movimento islamista che rigetta due aspetti della società araba di quel periodo. Il primo è il modello politico/costituzionale occidentale e l’apertura di un dibattito intellettuale con la società civile. Il secondo punto di contrasto è il fascino dell’idea panaraba. Ma non quella nazionalista bensì religiosa. Per la Fratellanza musulmana l’unica identità che si può porre al centro di un modello politico è l’islam come forza unificatrice. Senza però garantire i diritti alle minoranze religiose, né l’eguaglianza di genere tra uomini e donne.
Un islam che sul fronte dei diritti degli omosessuali e di altri gruppi si manifesta con la loro esecuzione o, più recentemente come nel caso dell’Iran, con la transizione chirurgica forzata. Oggi infatti Teheran fa anche questo: costringe gli omosessuali a cambiare sesso per evitare di essere mandati al patibolo.
Quindi Hamas è prima di tutto un elemento integrato in un movimento più ampio, la Fratellanza musulmana. E che poi, nella sua evoluzione politica e ideologica, si è sviluppato in tante manifestazioni diverse. Compresa Al Qaeda, anch’essa una naturale progressione della Fratellanza musulmana.
Questo è Hamas, che nel suo statuto rifiuta qualsiasi possibilità dell’esistenza di uno Stato ebraico sovrano su una parte di quei territori che l’islam rivendica come propri. Quindi – e questo va va sottolineato – non c’è solo il desiderio di avere uno stato indipendente palestinese nei territori che Israele conquistò nel 1967. C’è soprattutto il rifiuto dell’esistenza di Israele per statuto e l’uso della violenza non solo per convincere gli ebrei ad andarsene ma per sterminarli. C’è una retorica genocida nel lessico di Hamas.
«Retorica genocida», addirittura?
Sì, e anche qui va detta una cosa importante che ci riconduce alla convergenza tra estrema sinistra ed estrema destra. La retorica genocida che esiste nel mondo arabo contro gli ebrei e contro Israele ha molte matrici e origini. Una di queste è l’esportazione di propagandisti nazisti fuggiaschi dalla Germania del 1945, che vanno a lavorare per i dipartimenti arabi negli anni cinquanta.
La propaganda nasseriana degli anni 50 e quella siriana del partito ba’thista utilizzano i nazisti fuggiaschi nel dopoguerra europeo che trovano rifugio in Egitto e di fatto rinfrescano, riutilizzano e riaggiustano i messaggi della propaganda di Goebbels al servizio di quella panaraba contro Israele.
A questo si aggiunge il contributo sovietico, che già a partire dal 1940/1945 mette insieme strumenti propagandistici antisemiti i quali vengono poi trasmessi e perfezionati contro Israele e Usa a favore dei paesi arabi cosiddetti progressisti negli anni 50 e 60.
Esiste quindi una confluenza di tanti temi e correnti ideologiche diverse che contribuiscono a questo lessico genocida che Hamas presenta oggi nella sua ideologia. Purtroppo la sinistra ignora sia l’aspetto genocida che la visione di Hamas sui diritti civili, le donne, gli omosessuali, le minoranze e la libertà di dissenso, tutte cose che la sinistra in teoria sostiene.
Come lo spiega?
Credo che ci siano due fenomeni. Il primo è che la sinistra radicale pro Hamas essenzialmente condivide la sua visione totalitaria, magari non nello stesso modo ma, di certo, il rifiuto totale del modello occidentale li unisce.
In secondo luogo, la sinistra radicale condivide il lessico genocida in quanto è erede di quella tradizione antisemita diffusa con zelo dall’Unione Sovietica durante tutta la guerra fredda di cui è l’erede ideologica. E quell’eredità comprende un profondo odio per gli ebrei e per Israele, e si nutre con gli stessi temi, immagini e stereotipi antisemiti dell’Unione sovietica e, prima ancora, della Russia zarista.
Quindi c’è una confluenza di molti temi storici che hanno caratterizzato l’odio nei confronti degli ebrei e che troviamo nella retorica che oggi condivide certa sinistra contro Israele.
Per esempio le teorie del complotto.
Esattamente. Quando Israele viene sorpreso il 7 ottobre dall’assalto dei terroristi di Hamas, una delle risposte che è venuta da sinistra è stata: «Non è possibile che Israele, paese così potente, con una intelligence così sofisticata, non sapesse in anticipo che questo sarebbe successo».
Cioè, pur senza prove si è inventata una teoria del complotto simile a quella per cui l’11 settembre fu un complotto della Cia o del Mossad.
Dare la colpa alle vittime è un meccanismo tipico della propaganda totalitaria spiegato efficacemente da una frase di Joseph Gobbels, pronunciata a un raduno nazista di Norimberga nel 1934. «Sempre accusate il vostro nemico di quello che fareste voi». E questa è la propaganda comune di tutti questi movimenti.
Cosa possiamo fare noi giornalisti per porre un freno all’antisemitismo?
Credo che il dovere sia utilizzare gli strumenti deontologici del giornalismo per confrontarsi con le immagini e le informazioni che arrivano dalle zone di conflitto. Senza pregiudizio né parte e, quindi, riconoscendo alcuni fatti importanti.
Quali?
Il primo è che Hamas ha l’autorità sovrana su Gaza da 16 anni, da quando nel 2007 con un colpo di stato cruento e brutale espulse l’Autorità palestinese.
Il secondo è che Israele si è ritirato da Gaza dal 2005. E che se i palestinesi non possono uscire dalla Striscia non è solo perché Israele chiude periodicamente le frontiere per ragioni di sicurezza. Ma perché Il Cairo che ha un confine con Gaza non vuole che vadano in Egitto e ha tenuto la sua frontiera chiusa.
Il terzo è che Israele ha sempre lasciato passare gli ingenti aiuti umanitari per i palestinesi. E durante questi 16 anni ha continuato a dare loro permessi di lavoro per entrare.
Il quarto punto è che Israele nel combattere è tenuto a seguire le regole umanitarie delle leggi di conflitto. Hamas però non segue nessuna di queste regole e nasconde i suoi centri operativi sotto gli ospedali, usando civili come scudi umani.
Quindi l’importante è dire tutta la verità, offrire tutto il contesto per spiegare come questo sia un conflitto tra una democrazia ovviamente con tutte le sue imperfezioni e uno Stato totalitario. E spiegare che la democrazia attaccata ha sempre cercato un compromesso diplomatico e politico al conflitto, mentre la controparte non vuole nessuna soluzione di compromesso.
E infine riconoscere che l’antisemitismo è sempre stato un elemento centrale, essenziale ma non unico, di modelli politici e ideologie illiberali. Se noi permettiamo che si diffonda di fatto permettiamo l’erosione dei valori centrali per le democrazie liberali e le società aperte. Perché prima o poi quelle forze politiche che oggi promuovono l’antisemitismo cercheranno di mettere a tacere anche altri gruppi.
Quindi non è una minaccia solo contro gli ebrei ma contro i valori centrali alla coesistenza democratica liberale delle società aperte. Società che hanno permesso prosperità, lo sviluppo delle arti, della cultura, della creatività e della scienza. Tutte queste cose, che hanno creato un mondo migliore di tutti quelli precedenti, oggi sono a rischio. Non soltanto per gli ebrei, ma per tutti noi.
Nella foto di apertura di Matteo Biatta per Agenzia Sintesi, bandiere israeliane bruciate a Milano, nei giorni scorsi, durante una manifestazione pro-Palestina.
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