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Anteprima. Santoro è bravo, ma che c’entra con la libertà in Rai?

Anticipiamo l'editoriale di Vita magazine in edicola da domani e dedicato alle polemiche sulla libertà d'informazione e il pluralismo in Rai

di Riccardo Bonacina

Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco con una brevissima premessa prima di azzardare la nostra, sul tema del pluralismo e della libertà d?informazione in Rai. Michele Santoro è il miglior giornalista televisivo sulla piazza, nel suo gruppo i migliori reporter con telecamera (Riccardo Iacona su tutti). Enzo Biagi è il patriarca del giornalismo italiano e a lui si possono perdonare anche le acidità di chi “ne ha già raccontate troppe”. Daniele Luttazzi? A qualcuno piace, ad altri no, ma di sicuro è tra i facitori della vittoria di Berlusconi nel maggio 2001. Ecco la premessa che dovevamo alla ?santissima trinità televisiva?, ai tre eroi innalzati agli altari dal presidente del Consiglio in trasferta a Sofia. Ora una domanda. Il caso che vede opposto il premier e i suoi ascari a Santoro, Biagi e Luttazzi è una questione vera? Ed è un caso in cui è in questione la libertà di informazione in Rai e il pluralismo della televisione pubblica? Noi pensiamo di no. Quella di Berlusconi a Sofia, è stata un?uscita premeditata, come ancora una volta ha notato con intelligenza Ilvo Diamanti (La Repubblica, 21 aprile 2002). Diamanti ha suggerito come il premier imponga alla politica “L?illusione più che la seduzione (…) L?illusione che nella percezione dei cittadini, ma prima ancora dei suoi alleati e dei suoi avversari politici, diventa realtà vera. (?) Così la politica diventa videogame e noi cittadini di un Paese che non c?è”. In questo videogame della politica (altro che il vecchio teatrino), Berlusconi ha bisogno di avversari virtuali per una television war game senza tregua e quotidiano, che gli consenta di portare a casa, senza dare nell?occhio, partite molto, molto reali. Per chi fosse interessato a tornare su un piano di realtà e avesse davvero a cuore la questione della libertà d?informazione e del pluralismo in Rai, consigliamo, quindi, di non cadere nel tranello. Il television war game che registra gli entusiasmi dei girotondini, che occupa le energie delle diverse segreterie di partito e pagine intere dei quotidiani, non contiene un briciolo di realtà. Che non siano gli interessi privati dei due contendenti, un contratto un po? più vantaggioso e una fetta in più di potere e di consenso per le star tv, e la distrazione del Paese e della politica che si trova ad agire in ?un paese che non c?è?, dimentico delle questioni vere per chi governa. Tra le questioni vere, è ovvio, c?è anche quella del pluralismo e della libertà di informazione in genere e, quindi, anche in Rai, in un Paese che non solo vede una magnate delle tv al governo e senza una legge che ne limiti il potere (il tema realissimo è aperto dal 1994!), ma vede un assetto di governo della radiotelevisione pubblica vecchio e partitocratico (ma almeno un tempo i partiti erano tanti). Per affrontare tale problema basterebbero un centesimo delle energie e delle parole spese su e per la santissima trinità televisiva. Sarebbe bastato, per esempio, appoggiare seriamente la proposta fatta da questo settimanale di portare in Consiglio d?amministrazione Rai un consigliere espresso dalla società civile. Basterebbe, per esempio, togliere dal ridicolo la funzione sociale in Rai, oggi costretta in un segretariato che dipende dalle Relazioni esterne (sic!) e con un budget di 350mila euro, quanto un quarto d?ora di un qualsiasi show. Basterebbe, infine, rispettare il contratto di servizio e i contribuenti. Ma questo è un altro film, un film neorealista. Un genere che purtroppo oggi non va di moda. Si preferisce partecipare al videogame Berlusconiano opponendo ai sondaggi raccolte firme e girotondi.


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