Volontariato
Anteprima. Moni Ovadia: dateci una qualsiasi pace, ma subito
Anticipazione dell'appello dello scrittore pubblicato da Vita magazine in edicola. Ebreo di sinistra, messo sotto pressione dai compagni di fede e da quelli di partito, dice...
Moni Ovadia è stanco, triste, sfiduciato. “Non dormo più da giorni e non ho più notti. Piango ogni morto”, dice. Da sinistra lo accusano di stare comunque “dalla parte degli ebrei” (“si chiama antisemitismo, pur se strisciante”, fa notare), nella sua stessa comunità di avere amici palestinesi. Come Feisal Faer, con il quale porta in giro il Canto per la pace: canzoni e spettacolo per ebrei, musulmani e cristiani recitato in diverse lingue, ma con le stesse musiche. Quelle del dialogo.
Vita: Che impressione le fa veder bruciare la Chiesa della Natività, il simbolo della fede cristiana?
Moni Ovadia: Un?impressione enorme. Un luogo caro all?umanità che va in fumo è tragedia d?infinita tristezza. Luoghi santi, che dovrebbero essere luoghi di rispetto per tutti, sono in preda all?odio e alla violenza. Nessun uomo in armi dovrebbe essere lì: né i tanzim palestinesi dentro, né i tank fuori. Ho visto altri luoghi di preghiera sventrati e altri uomini uccisi mentre pregavano, in Israele. Basta.
Vita: Non le chiedo analisi politiche o elenco di torti e ragioni, ma la sua posizione su questa guerra, sì.
Ovadia: Ci sono ragioni antiche, complesse, impossibili da ripercorrere ora, mitologemi di entrambe le parti. La rimando a un bellissimo libro, però, Vittime dello storico Benny Morris (Rizzoli editore, ndr). Quelle recenti, invece, sono più semplici da inquadrare. Gli israeliani hanno una paura ancora parzialmente reale, quella della sicurezza dello Stato d?Israele e della sua messa in discussione da gran parte del mondo arabo, che per cinquant?anni ne ha chiesto la distruzione. Hamas vuole questo. Chi mette le bombe nei bar e nelle piazze vuole distruggere fisicamente Israele, non vuole cacciarlo. Poi c?è l?errore gravissimo della politica di sicurezza israeliana, che prolunga l?occupazione dei territori palestinesi, che ne vessa la popolazione secondo modelli da occupazione militare straniera. Da un lato, l?orrore del genocidio del popolo ebraico, ancora vivo, dall?altro un?occupazione militare odiosa e vessatoria. La politica degli insediamenti, la difesa a spada tratta dei coloni e la strozzatura dello Stato palestinese hanno creato esasperazione, disperazione, odio. La paura porta alla repressione, l?esasperazione porta alla guerriglia. Ma il terrorismo non è figlio di questi processi, ma di altre e più oscure logiche: il terrorismo c?era con Rabin e c?è con Sharon, c?è con la guerra e c?era in tempo di pace. Il terrorismo non cerca e non vuole giustificazioni, si alimenta da sé, anche se nell?odio trova terreno fertile per crescere. Ma i terroristi sono nemici di entrambi i popoli e Stati.
Vita: Arafat, secondo lei, è un terrorista?
Ovadia: Arafat non è un terrorista e chi dice questo è un pazzo. Arafat è il democratico e legittimo rappresentante del suo popolo, ma l?Anp deve trovare il coraggio di togliere ogni spazio ai terroristi. Il mondo palestinese non è un blocco monolitico, come non lo è il mondo ebraico. Fin quando questi mondi non si riconosceranno prima sul piano etico e poi su quello politico, non ci sarà pace. Comunque, le schematizzazioni e le ideologizzazioni del dramma mediorientale le pagano per primi i più deboli, i palestinesi. I Paesi arabi esprimono solidarietà parolaie, la sinistra europea altrettanto. Gli israeliani si sono ritirati dal Libano, i siriani non mi pare si siano ritirati dalla valle della Bekaa. Ha visto manifestare contro l?occupazione militare del Libano? Protestare in sede Ue o all?Onu?
Vita: I filo palestinesi e i filo israeliani scendono in piazza. serve?
Ovadia: Dico “basta manifestazioni!” Voglio atti e aiuti concreti ai due popoli. Dall?altro vedo con dolore una sinistra, la mia sinistra, miope e schiava di pregiudizi ideologici, che vede solo gli epifenomeni e non chi c?è dietro, non le psicologie e i comportamenti individuali. Parlo di uomini fragili, spaventati, egoisti, israeliani come palestinesi: con loro abbiamo a che fare. Al movimento no global, che sento per tante cose vicino a me, voglio dire questo, pacatamente: fatevi carico della complessità del mondo, non generalizzate e non banalizzate. Io non credo che Bertinotti sia un antisionista e penso che la contestazione di parte della comunità ebraica romana alla sede di Liberazione sia stata un errore, ma non posso accettare che dei presunti pacifisti scendano in piazza vestiti da kamikaze. Ci servono Gandhi e Martin Luther King, non dei nuovi kamikaze. Vorrei che ci aiutassero a costruire una pace fredda, anche gelida, ma la pace. Subito.
l’intervista integrale su Vita magazine in edicola
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