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Anteprima adozioni: Genitori, amate la loro diversit

Il servizio di copertina di VITA in edicola da domani sul flop delle adozioni nel 2001: un brano dell'intervista allo psichiatra Sabatello

di Benedetta Verrini

Dei problemi tra genitori e figli adottivi si parla spesso in queste settimane. Esistono moltissime pubblicazioni specializzate che affrontano l?argomento, ma una cosa è assolutamente certa: non esiste una psicopatologia specifica legata all?adozione. Non si può stabilire un?uguaglianza tra adozione e fenomeni di devianza”. Il professor Ugo Sabatello, neuropsichiatra infantile dell?Università La Sapienza di Roma, spiega a Vita quali sono le più frequenti difficoltà (ed errori) in cui incorrono le coppie adottive. E sgombra il campo dal pregiudizio che un figlio adottivo, magari accolto in famiglia già grandicello, porti in sé una particolare patologia psicologica. Vita: È più difficile crescere un bambino che arriva in famiglia già grande? Ugo Sabatello: L?adozione di un bambino che ha già qualche anno presenta certamente delle difficoltà maggiori rispetto all?adozione di un neonato, e la coppia deve esserne consapevole, deve sapere che certi traumi non si cancellano solo con la buona volontà o con l?affetto. Ci sono bambini che arrivano da situazioni di abuso o di disagio difficilmente immaginabili. In alcuni Paesi stranieri, ad esempio, c?è la prassi di trasferire ogni sei mesi i minori da un orfanotrofio all?altro, per impedire che si possano consolidare legami affettivi. Come può crescere un piccolo che vede sistematicamente recidere i rapporti che ha costruito con i compagni e con gli adulti? Ma a parte queste considerazioni, ogni bambino ha una sua storia e non è possibile generalizzare. Vita: In altre parole, non si può stabilire sulla carta se un?adozione andrà a buon fine oppure no. Sabatello: Esattamente. Ad esempio, la nostra stessa capacità diagnostica sulle coppie non può rappresentare una garanzia. Alcune coppie arrivano all?adozione fortemente deprivate, con esperienze psicologiche molto dolorose alle spalle, come numerosi tentativi falliti di procreazione. Per questo motivo non si può dire nulla a priori: il cammino inizia sempre con l?inserimento del bambino nel nucleo familiare e spesso i problemi vengono fuori a distanza di molto tempo. Vita: Per quale motivo? Sabatello: Perché c?è un periodo di grazia, una sorta di honey moon, di luna di miele tra genitori e figlio adottivo. È quella prima fase in cui il bambino si mostra iperadattabile, assolutamente flessibile a tutte le novità e le nuove abitudini della famiglia. Spesso questa periodo dura anche oltre l?anno di affidamento preadottivo, e i genitori si illudono che basti offrire ai bambini tutte le cose che prima non avevano per far andare bene l?adozione. Vita: Allora qual è l?approccio ideale? Sabatello: Non ci sono comportamenti da manuale. Prima dell?adozione è consigliabile parlare con altre coppie che hanno adottato per conoscere la loro esperienza. È importante stabilire un buon rapporto con i servizi sociali, che non sono solo lì a giudicare, ma sono anche disponibili ad accompagnare la coppia nel percorso dell?adozione. E quando il bambino è arrivato, spesso bastano piccoli accorgimenti. Ad esempio, affidarsi a un pediatra esperto e non troppo allarmista, che sappia seguire il nuovo arrivato senza sottoporlo a una sfilza di esami clinici, che gettano tutta la famiglia nel panico. Altre volte invece bisogna ammettere la necessità di affidarsi a uno psicoterapeuta, per superare problemi più gravi. Vita: Ci sono errori da non commettere? Sabatello: Sotto questo punto di vista, anche la legge offre indicazioni precise: bisogna rispettare l?identità del bambino. A cominciare dal suo nome. Come si può pretendere di cambiare il nome a un bambino di quattro, cinque anni? È? il modo migliore per calpestare la sua identità e fargli capire che la sua diversità non è stata accettata. L’intervista integrale sul numero di VITA magazine in edicola da domani


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