Non profit
Anselmo & amici: i rinati di villa tobia
Salute mentale: lesperienza delle cooperative Cgm. Viaggio in una comunità di Como dove la riabilitazione e la cura dei malati psichiatrici ha creato un modello
Ha la piscina, il campo da tennis e il maneggio, villa Tobia. Immersa nel verde della provincia comasca, a guardarla sembrerebbe il buen retiro di qualche imprenditore, il piccolo paradiso di qualche famiglia agiata. E un piccolo paradiso, in realtà, lo è.
Lo è sicuramente per Anselmo, che è rimasto sepolto nell?ospedale psichiatrico di Como per quarant?anni, e quando è arrivato a villa Tobia sapeva solo urlare e camminare ossessivamente avanti e indietro. Adesso va da solo in paese a comprare il pane e dà una mano nelle pulizie. Ha ricominciato a vivere a 63 anni. Villa Tobia è la sede di una comunità residenziale per l?assistenza dei malati mentali, a Beregazzo con Figliaro, in provincia di Como. è frutto di un ambizioso progetto del Consorzio Gino Mattarelli, ?Fuorimatti?, partito nel 1998 e che oggi coinvolge 100 coop sociali in 11 regioni, con 1.600 utenti.
La comunità di Beregazzo attualmente ospita 9 pazienti (4 provenienti dagli ex ospedali psichiatrici e 5 segnalati dai servizi sanitari territoriali), seguiti 24 ore su 24 da un paio di operatori sociosanitari, un pedagogista, un infermiere e uno psichiatra che si occupa della supervisione. «Sono standard di elevata qualità, imposti dagli enti locali per l?accreditamento dei privati nel settore. Da tre-quattro anni a questa parte, questa impostazione ha completamente ribaltato l?approccio terapeutico alla malattia mentale» spiega il dottor Salvatore Zizolfi, lo psichiatra della comunità. «Per anni gli ospedali psichiatrici sono stati luogo di accentramento dei malati: al San Martino di Como, negli anni 60, c?erano ricoverati anche 3mila malati. È chiaro che in quelle condizioni, con tre-quattro infermieri per reparti di 150 pazienti, i metodi di cura erano impostati secondo un sistema gerarchico, duro, punitivo e sedativo. Adesso molte cose sono cambiate, almeno nelle regioni del Nord: l?applicazione della legge Basaglia ha dato risultati positivi e bisognerebbe continuare su questa strada». S?interrompe per ascoltare Aurelio, un giovane bruno dagli occhi chiari, che parla con un forte accento inglese. «Aurelio ha una visione molto anglosassone della sua terapia, nel senso che dà una grande importanza all?aspetto farmacologico» scherza Zizolfi, mentre il ragazzo ribatte che di medicine ormai non gliene servono più tante. Fa parte di nuovo e crescente profilo d?utenza della comunità, quello dei ?territoriali?: pazienti che non sono mai stati negli ospedali psichiatrici e che arrivano direttamente dalla famiglia, segnalati dai servizi. «Per gli uni e per gli altri puntiamo a creare il più possibile un ambiente di casa» continua lo psichiatra. «I pazienti degli ex Op, che sono persone molto deprivate, vengono accompagnati a riprendere cura di se stessi, a lavarsi, a vestirsi. A poco a poco, li portiamo a prendersi delle piccole responsabilità, come apparecchiare la tavola. Non abbiamo posto, volutamente, dei tempi di permanenza, perché queste patologie non possono essere agganciate a una tabella di marcia».
Ed è proprio la realizzazione di un significativo percorso di riabilitazione dei malati e il recupero del loro senso di appartenenza civile ciò che distingue il Progetto psichiatria del Cgm: «Vogliamo evitare a tutti i costi la situazione di parcheggio del malato» sottolinea Mariagrazia Fioretti, responsabile nazionale del progetto. «La nostra filosofia è quella di lavorare per ?perdere? pazienti, per affrancarli dallo stigma sociale attraverso il coinvolgimento della comunità locale, fino a condurli, nei casi meno gravi, al gruppo appartamento e all?inserimento lavorativo». Una sfida durissima, quella dell?accettazione sociale. Fioretti racconta delle enormi difficoltà a trovare proprietari disposti a dare i locali in affitto per i centri residenziali, oltre che per i gruppi appartamento: «Quando vengono a sapere chi li occuperà, fanno marcia indietro».
Ma qualche bella storia di solidarietà, a villa Tobia, ce l?hanno. Dalla fornaia del paese che li ha invitati tutti a casa sua a mangiare la torta; ai vicini di casa, che vedendo i bellissimi addobbi di Natale fatti in giardino, gliene hanno commissionati alcuni per la loro casa. Per non parlare delle vacanze: se chiedi a Rosario, un paziente gravemente autistico, dove si è trasferita l?intera comunità quest?estate, ti fa un sorriso sbilenco e dolcissimo. E dice: «Lido di Camaiore». L?atrio è tappezzato delle fotografie del mare, dove il gruppo è stato ospitato presso una residenza di suore.
«È un perenne lavoro di mediazione, il nostro» racconta Stefania Locci, pedagogista della comunità. «Ci vogliono tanta forza ed equilibrio interiore, per questo chi viene a lavorare qui deve essere davvero motivato». Qualcuno in casa chiama: bisogna decidere dove apparecchiare. «Se penso a come stavano alcuni di loro un anno fa, mi accorgo che abbiamo fatto progressi eccezionali» dice Locci. «So che non ci possiamo illudere di cancellare la malattia mentale. Anzi, in molti casi possiamo ottenere solo di attenuarla. Con questo modo di assisterli, però, abbiamo restituito loro dignità e una vita migliore».
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