Volontariato

Anoressia, colpiti sempre più bambini

Sempre più magri e sempre più giovani:i dati confermano che le vittime aumentano di anno in anno.Mentre scende vertiginosamente l'età.

di Stefania Olivieri

Dramma anoressia in agguato: le associazioni lanciano l’allarme e spezzano il muro di indifferenza. Dopo mesi e mesi di titoli sulle prime pagine di quotidiani e telegiornali, accusano l’Associazione Studio e Ricerca su Bulimia e Anoressia (Aba) e la Clidao, è improvvisamente calato il silenzio sui disturbi alimentari. «Oggi mi si dice che per riparlarne ci vorrebbe una notizia, magari una morte», accusa Fabiola De Clerq, presidente dell’Aba. «Nel frattempo, però, ci siamo riempiti di bambine tra i 9 e gli 11 anni che già rifiutano il cibo, e questo è un dato di fatto». Dati alla mano, la situazione non promette nulla di buono: alla sede milanese dell’Aba si svolgono tra i 400 e i 500 colloqui al mese, con un aumento del 15% circa rispetto all’anno scorso. Un incremento che, secondo le statistiche americane, fino al 2006 sarà vertiginoso, e raggiungerà anche il 70%. «Forse è una percentuale esagerata per l’Italia, ma di sicuro è difficile ipotizzare una diminuzione dei casi», commenta la De Clerq. «Questo perché i modelli estetici rimangono gli stessi, la comunicazione all’interno delle famiglie non migliora, anzi peggiora». In aumento anche i casi registrati in Veneto dall’associazione Clidao: 120 mila nuovi casi l’anno, pari a un incremento percentuale del 20%. «Abbiamo una richiesta continua, tanto è vero che siamo usciti dal Veneto e siamo in espansione», spiega Loretta Nalin, presidente di Clidao. «Siamo nati nel ’90 in ambito regionale e contavamo di fermarci lì, invece oggi abbiamo gruppi anche in Emilia e in Lombardia e tantissime richieste anche dal Sud».
Se l’incremento di casi di anoressia e bulimia è omogeneo a livello nazionale, lo stesso non può dirsi dell’offerta di strutture di cura e assistenza. Secondo un’indagine condotta dalla commissione di studio istituita nel ’97 dal ministero della Sanità, infatti, si delinea una distinzione palese tra il gruppo di regioni formato da Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Province Autonome di Trento e Bolzano rispetto al resto d’Italia. «Lo stato nazionale è in generale molto carente, al Sud non esiste assolutamente nulla per la cura dei disturbi alimentari», afferma Michele Carruba, docente di Farmacologia alla Statale di Milano e membro della commissione. «Occorrono soprattutto strutture day hospital, più vicine possibile all’abitazione delle pazienti e dei loro familiari. Il ministero sta cercando di sollecitare la creazione di centri specializzati, secondo precise linee guida, e ha demandato alle amministrazioni regionali il compito di realizzarli. Il problema è che alcune, come la Lombardia, hanno creato a loro volta delle commissioni che si occupano di affrontare il problema, altre invece non hanno fatto nulla».
Le sollecitazioni del ministero non soddisfano le associazioni, che davanti alla minaccia di un’emergenza-anoressia chiedono interventi più decisi e, soprattutto, concreti. Un esempio? Le campagne di informazione e prevenzione. «Servono tantissimo, appena cala il silenzio i casi aumentano», sostiene Fabiola De Clerq. «Quando ci sono campagne informative i genitori delle ragazze con problemi fanno un passo in più, si rivolgono a specialisti e dimostrano più disponibilità a capire». «Quando se ne parla», aggiunge, «le persone si accorgono del loro stato e vengono più facilmente a farsi curare, altrimenti si convincono di essere “normali” e non si curano». Un problema non indifferente, infatti, è la difficoltà con cui le ragazze accettano di curarsi. Secondo i dati del Centro Italiano Disturbi Alimentari Psicogeni, degli oltre 2 milioni di persone affetti da disturbi dell’alimentazione, solo 265 mila si dichiarano disponibili a un trattamento terapeutico che viene poi intrapreso solo dal 40-50% di loro. «Questo significa che solo 130 mila persone accettano di seguire una terapia e curarsi », afferma Michele Campanelli, direttore del Cidap e membro della commissione di studio. «In quest’ottica è fondamentale l’attività di prevenzione nelle scuole, rivolta anche a insegnanti e genitori».

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