Welfare

Anni 70, perché furono anni maledetti

Mentre infuria la polemica su Primavalle, esce un libro di storia (di Sergio Segio).

di Redazione

Sabato 26 febbraio al Boccasenacafè di Milano (corso Magenta 24, ore 18) verrà presentato il nuovo libro di Sergio Segio dedicato alla storia di Prima Linea (Miccia corta, Derive e approdi). In anteprima pubblichiamo una pagina dell?introduzione di Segio. «Io ho fatto questo, dice la mia memoria. Io non posso aver fatto questo – dice il mio orgoglio, e resta irremovibile. Alla fine è la memoria ad arrendersi»: le parole di Friedrich Nietzsche forse possono contribuire a illuminare le dinamiche morali e psicologiche per cui la pubblicistica e memorialistica sulla violenza politica e la lotta armata in Italia proposta da alcuni dei protagonisti risulta talvolta poco convincente. Tanto più quando ambisce a proporsi come verità oggettiva e non come esperienza vissuta. A maggior ragione quando si caratterizza per guerra di ricordi e di interpretazioni o per rinnovato conflitto tra posizioni e leadership, come nel caso delle memorie dei capi brigatisti. C?è tuttora un uso politico della memoria che rischia di diventare una professione e che penso contribuisca alla complessiva perdita di senso e mistificazione di ciò che è stato, immiserito in conflitti personali e in eterna lotta di potere, reso così incomprensibile e inservibile per l?oggi. Al di là della vicenda di Pl, la storia degli anni 70 in generale è una storia maledetta. Espunta, con la violenza della rimozione e del silenzio, dalla memoria collettiva, in particolare da quella delle giovani generazioni. Una rimozione che, per opposte ma convenienti ragioni, è venuta da ambo le parti, dai vinti e dai vincitori. Vero però è che, in spregio a qualsiasi codice d?onore, alcuni che tenacemente si erano voluti insediare sulla plancia di comando del movimento antagonista e armato furono i primi ad abbandonare la nave in difficoltà. Capi carismatici a un certo punto, senza preavviso, si buttarono nelle scialuppe di salvataggio, occupandone gli scarsi posti, incuranti di chi rimaneva indietro, per ottusità magari, ma spesso e contemporaneamente anche per generosità e per senso di responsabilità nei confronti dei più giovani, per quella prigione dell?anima e dell?intelligenza che si chiama coerenza. Questi ultimi, destinati al sacrificio e al linciaggio, avevano deciso che l?amaro calice andava bevuto sino in fondo nell?antica convinzione che la libertà e la salvezza o sono di tutti o non sono di nessuno. La coerenza è come un veleno: nella dose giusta e nell?equilibrio con altre componenti diventa farmaco. Diversamente, uccide. Così è stato per noi che abbiamo voluto continuare sino all?ultimo. Ottusi, certo. Ma come invece chiamare quanti, apprendisti stregoni e compiaciuti arringatori di assemblee, hanno finto di pensare che bastasse dire «contrordine, compagni»

Sergio Segio


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