Formazione & Lavoro
Anna Gionfriddo, la top manager che va a lezione dalla GenZ
L'amministratrice delegata di ManpowerGroup, neo presidente di JA Italia, presenta le linee strategiche dell'organizzazione che porta nelle scuole l'educazione all'imprenditorialità. Obiettivo 2023: coinvolgere il 10% degli studenti d'Italia, per migliorarne l'occupabilità. Un elogio al coraggio di osare e una fortissima apertura di credito alla GenZ
«Nella mia lunga carriera nell’ambito delle risorse umane ho potuto toccare con mano quanto le human skill possano fare la differenza nel mondo del lavoro. Sono grata a Junior Achievement Italia per avermi scelta come presidente, permettendomi di impegnarmi in prima persona per il futuro dei giovani. Sono sicura che, grazie alla nostra community di partner aziendali e istituzionali, volontari, docenti, riusciremo non solo a raggiungere gli obiettivi prefissati, ma a superarli»: così Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia, che da qualche settimana è la nuova presidente di JA Italia (in foto insieme a Miriam Cresta ceo di JA Italia).
Il 16 dicembre a Milano, in occasione del JA Day 2024 – l’evento annuale che riunisce le aziende partner e le istituzioni che condividono e sostengono la mission di JA in Italia – Gionfriddo ha presentato a VITA i suoi progetti, legati a doppio filo alle linee strategiche che guideranno l’organizzazione nel quinquennio 2025-2030. La sua nomina infatti arriva all’inizio di una nuova fase del percorso dell’organizzazione, che punta ad ampliare la propria capacità di intervento, per coinvolgere entro il 2030 il 10% degli studenti italiani, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado. Nell’anno 2023-24, JA Italia ha coinvolto quasi 410mila studenti in 468 scuole.
Coinvolgere il 10% degli studenti d’Italia in percorsi di educazione economico-imprenditoriale e di orientamento è un obiettivo ambizioso: cosa spinge JA ad alzare tanto l’asticella?
JA Italia, che ha vent’anni di esperienza in Italia, è arrivata a un momento importante della sua storia e secondo me c’è davvero bisogno in questo momento di avere un obiettivo ambizioso. Ce n’è bisogno perché il contesto in cui ci troviamo a vivere richiede un’attenzione più forte rispetto a tutti i temi legati all’imprenditorialità, all’innovazione, allo sviluppo delle competenze soft e delle competenze trasversali. Sono competenze che saranno dirimenti per i giovani che oggi sono ancora all’interno del mondo della scuola e che dovranno affrontare la vita, in primis professionale. L’obiettivo di raggiungere il 10% di tutta la popolazione studentesca in Italia, quindi, è ambizioso ma necessario, dobbiamo porcelo. Dobbiamo perché JA Italia oggi ha tutte le competenze che servono a dare un contributo importante al sistema Paese: ha il desiderio, l’ambizione, la voglia e la capacità di farlo. La nuova governance dell’organizzazione è legata anche al piano strategico 2025/2030 e l’attenzione che è stata messa nell’allargare il consiglio va in questa direzione. Il percorso che ci ha portato a elaborare tutti insieme le linee strategiche è maturato dentro una riflessione che ha avuto un’attenzione forte al contesto entro il quale siamo e questo ci ha portato in maniera evolutiva, direi quasi naturale, a porci questo obiettivo così sfidante.
Il contesto oggi richiede un’attenzione più forte rispetto a tutti i temi legati all’imprenditorialità, all’innovazione, allo sviluppo delle competenze soft e trasversali. Sono competenze dirimenti per la vita professionale
Anna Gionfriddo, presidente JA Italia
Che cosa offre JA a questi ragazzi, al di là della giusta ambizione di un’organizzazione alla crescita?
Partiamo sempre dalla realtà e guardiamo qual è la popolazione dei giovani nel mercato del lavoro italiano. Anche per la posizione che ricopro all’interno del gruppo Manpower Italia, posso tranquillamente affermare che oggi il mondo del lavoro è caratterizzato dalla convivenza di più generazioni, che portano con sé forti e molteplici diversità. Io stessa, in azienda, mi trovo ogni giorno a ripensare le strategie e la loro declinazione… dovendo far riferimento a quattro o cinque diverse generazioni di lavoratori che convivono.
In passato non era così?
Chiaramente anche in passato nel mondo del lavoro convivevano più età anagrafiche, ma la differenza tra le generazioni era meno forte e meno sentita. Il tema oggi non è tanto l’ampiezza dell’arco anagrafico che convive in azienda, ma le differenze che esistono tra i lavoratori più giovani e quelli più maturi. Le faccio un esempio. La generazione dei Baby boomers e la mia, che è la Generazione X, siamo cresciute con un concetto di lavoro molto diverso dalla Gen Z. In maniera molto superficiale oggi si dice che la Gen Z non ha voglia di lavorare, ma non è vero: semplicemente danno al lavoro un’accezione diversa. Nel 2030 – non tra un secolo – la Gen Z rappresenterà il 50-55% della forza lavoro, mentre la generazione dei Millennials, oggi prevalente, sarà il 25-35% della popolazione attiva. Se i Millennials sono entrati a fatica in un mondo del lavoro presidiato e conformato alla visione della Gen X e dei Baby Boomers, la Gen Z farà ancora più fatica, perché da quel frame è ancora più lontana. Come JA può aiutare questi ragazzi a entrare nel mondo del lavoro? Proprio lavorando sulle competenze soft, sull’imprenditorialità, sull’occupabilità. Competenze non tecniche, quelle ovviamente restano necessarie, ma trasversali.
Che cos’è la “scuola abilitante” che sta al centro della strategia di JA per i prossimi anni?
Il piano strategico 2030 parte dal concetto di scuola abilitante, ossia di una scuola che promuova la crescita personale e professionale, capace di valorizzare le diversità e il potenziale di ogni individuo, creando persone appagate e attive. Perché serve un cambiamento nella scuola, nella direzione di una scuola abilitante? Perché oggi il mondo della scuola ha una sfida importantissima che è quella di essere veloce nell’interpretare i cambiamenti del mondo del lavoro. Non sto dicendo che la scuola oggi non prepari ad entrare nel mondo del lavoro, assolutamente, però esiste una questione di tempi. Il mercato del lavoro sta cambiando in maniera così veloce rispetto all’era pre-Covid, che la scuola viene continuamente stretchata rispetto ai cambiamenti così veloci che il mondo del lavoro richiede. E ancore una volta, come JA può entrare in questa dinamica? Contribuendo a creare degli ecosistemi, questi insieme di stakeholder diversi – le imprese, le scuole, le istituzioni, le organizzazioni di Terzo settore, i giovani, i policy maker – che insieme possono veramente cercare di rispondere con i tempi richiesti a quelle che sono le esigenze del mercato del lavoro.
Un altro dei principi importanti della nuova strategia di JA è l’occupabilità. In che modo JA intende realizzare concretamente l’obiettivo di migliorare l’occupabilità dei giovani?
I giovani oggi devono comprendere qual è il mercato del lavoro, quali sono le richieste che ne vengono. Oggi abbiamo una sfida importantissima – qui mi rivolgo a noi operatori del mercato del lavoro – che è quella di avere un po’ di predittività rispetto a quelle che saranno le competenze che verranno richieste dal mercato del lavoro sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Lei capisce che se noi abbiamo una scuola che già in questo momento non è al passo col mondo del lavoro, come potrà questa stessa scuola rispondere a quelle che saranno le competenze richieste fra 5 anni? Non stiamo parlando di 10 o 20 anni, ma di cinque anni. Il punto è esattamente questo, il fatto che lo spazio temporale è sempre più breve. JA Italia vuole dare questo contributo in questo senso.
Perché fa così ancora così paura il pensiero di avere aziende vicino alla scuola o dentro la scuola?
Non credo che sia una questione di paura, io credo che sia una questione di abitudine. “È sempre stato così, continuiamo a fare così”: si preferisce sempre andare avanti nella strada conosciuta, in tutti gli ambiti. Ma il mondo del lavoro oggi non ce lo permette. Non solo il mondo del lavoro: è il sistema sociale dentro cui viviamo che non ce lo permette. Allora dobbiamo avere l’umiltà e l’intelligenza di fermarci, di guardare un pochino oltre e di osare. A me piace questo concetto di “osare”, che è un punto importante delle nuove linee strategiche di JA, è una cosa che sento molto mia come professionista e come manager.
A me piace il concetto di “osare”, lo sento molto mio come professionista e come manager. Mi metto sempre in discussione. Se c’è un’idea nuova, la valuto, perché potrebbe rivelarsi migliore. In questo la Gen Z ha tanto da insegnarci
Osare è anche il concetto cui ha fatto riferimento nella nota che annunciava la sua nomina a presidente di JA. Ha detto che si sarebbe impegnata a «supportare i giovani, perché imparino ad osare». Mi ha colpito. Che cosa intende?
Io sono diventata l’amministratrice delegata del gruppo Manpower in Italia mettendomi sempre in discussione. Non mi fermo mai, non do mai per scontato quello che ho fatto una settimana fa o un mese fa. Se c’è un’idea nuova, io la valuto, perché potrebbe rivelarsi migliore. È difficilissimo, però questa è la cultura che, secondo me, dobbiamo imparare ad agire. Ecco, in questo questa Gen Z ha un sacco di cose da insegnarci. Il punto è che da un lato loro devono imparare ad osare nel proporsi e nel mettere in discussione i nostri schemi precostituiti ma dall’altro la mia generazione, quella dei boomers e quella dei millennials, dobbiamo imparare qualcosa da loro. In realtà lo stiamo già facendo, anche se in maniera ancora poco conscia e soprattutto senza ammetterlo. Ma se pensiamo a quello che è successo nel post-Covid, uno dei trend più importanti che stiamo leggendo nel mercato del lavoro è il concetto della me economy. Questa generazione ci ha insegnato a rimetterci un po’ al centro della vita professionale e personale. Io lo vedo su di me. Io sono una Gen X, in più sono veneta, quindi vengo da una cultura del lavoro molto forte, il lavoro fa molto parte della mia quotidianità e della mia identità: ecco, io devo dire che da questa generazione sto imparando invece a trovare un equilibro diverso tra vita professionale e vita personale. Quindi alla Gen Z dico “osate nel rompere gli schemi e le barriere che trovate”, a noi dico “osiamo nel mettere in discussione modelli di business o processi aziendali che sono sempre andati bene fino ad oggi ma che magari possono andare ancora meglio, grazie all’approccio diverso portato dalla Gen Z”. Le faccio un altro esempio. A me piace molto il concetto di mentorship, ma intesa in maniera biunivoca. Io faccio tanta attività di mentorship, mi piace essere mentor soprattutto di ragazze, adesso per esempio sto seguendo una studentessa di una business school di Lisbona… Ma di questa esperienza a me piace tantissimo quello che lei dà a me, dentro questo concetto di mentorship reciproca. Anche questo è osare. Noi dobbiamo osare e chiedere a un ragazzo della Gen Z di fare il mentor di un professionista che ha quasi 60 anni e magari sta chiudendo il suo percorso professionale. È una sfida, ma io ci credo tantissimo.
Ha citato i mentor, che sono una colonna portante dell’esperienza di JA. Arrivare al 10% degli studenti italiani vuol dire non soltanto essere in grado di coinvolgere tante scuole, ma avere anche tanti mentor da mettere in campo. Quindi come si arriva a garantirlo?
Mentor e volontari sono la chiave di JA. Mentor e volontari che diventano coach. Mi piace questo concetto di volontari perché c’è dentro l’idea di qualcosa che io voglio dare, che io voglio restituire. Io credo che le persone quando arrivano ad avere 20-25 anni di esperienza professionale, se sono soddisfatte, hanno voglia di restituire qualcosa. Il volontariato in JA ha questo purpose di base. Il volontario poi diventa un mentor o un coach. JA Italia ha delle presenze già molto radicate sui territori, nel board stanno entrando gli storici Alumni del dell’associazione, però sicuramente dovremo allargare i numeri, facendo leva su tutte le persone che hanno voglia di restituire qualcosa ai giovani del nostro Paese. Anche questo è un obiettivo ambizioso? Sì, ma io ci credo, ci possiamo arrivare. E non c’è voce migliore del volontario che racconta ciò che ha fatto, di sentire un mentor o un coach raccontare come è diventato mentor o coach, come ha sviluppato il suo lavoro con i ragazzi. Qui il contributo dell’azienda che rappresento potrà essere d’aiuto, perché il gruppo Manpower crede molto in questa attività.
Alla Gen Z dico “osate nel rompere gli schemi e le barriere che trovate”, a noi dico osiamo nel mettere in discussione modelli di business o processi aziendali che sono andati bene fino ad oggi ma che potranno andare ancora meglio, grazie all’approccio diverso portato dalla Gen Z
Abbiamo parlato di occupabilità e di transizione tra scuola e lavoro. I Neet sono uno dei grandi temi del paese, per quanto con numeri in miglioramento. Dario Di Vico ha invitato a fare una riflessione autocritica sul fatto che questa “etichetta” da un lato è servita a richiamare attenzione e risorse sulla questione, ma dall’altro ha messo i giovani quasi in una “gabbia identitaria”, da cui è paradossalmente ancora più difficile uscire. Che ne pensa?
Sui Neet sono d’accordissimo con Di Vico e con lei, questa etichetta non sta aiutando i ragazzi perché li ha clusterizzati. Questo vale per qualsiasi cosa: clusterizzare la popolazione non aiuta quasi mai. Noi dobbiamo avere la consapevolezza che questo fenomeno esiste ed è reale e riguarda numeri troppo grandi di ragazzi, perché questo aiuta a trovare delle risposte. Però dobbiamo anche aiutare i ragazzi a comprendere che quella non è una condizione senza via di uscita. All’interno della nostra azienda siamo arrivati alla quindicesima edizione di un percorso dedicato ai Neet, che facciamo da dieci anni con partner pubblici e privati: l’apertura di questi percorsi la faccio sempre io, ci tengo. Li voglio vedere in viso, li voglio incontrare, anche se solo in remoto. La cosa che mi sconvolge è che quando questi ragazzi si presentano sembrano sfiduciati. A me colpisce e spiace vedere ragazzi così giovani che non ci credono più. Allora lì penso anch’io che forse questo acronimo Neet che è nato per aiutarli spesso invece gli si sta ritorcendo contro. Mi dispiace perché vedere i giovani perdere fiducia in se stessi, nel futuro, nella possibilità di un cambiamento, è qualcosa a cui come sistema Paese non ci possiamo rassegnare. Non ci dobbiamo rassegnare. Questi ragazzi sono il nostro futuro, dobbiamo dargli fiducia. E aggiungo un’altra cosa: è vero che la percentuale di Neet sta migliorando, quindi le politiche e le attività sia pubbliche che private che sono state messo in campo hanno aiutato, è un buonissimo segnale ed è giusto evidenziarlo. Ricordiamoci però che all’interno dei Neet, la popolazione femminile sta aumentando. Tra i Neet le ragazze sono passate dal 20 al 30% e io questa cosa non l’accetto: non l’accetto come donna, non come professionista, come madre di una bambina. Su questo ognuno di noi, ognuno per il proprio ruolo e la propria responsabilità, deve fare qualcosa.
Il primo incontro del nostro percorso dedicato ai Neet lo faccio sempre io. Li voglio vedere in viso. La cosa che mi sconvolge è che quando questi ragazzi si presentano sembrano sfiduciati. Forse questo acronimo Neet, che è nato per aiutarli, gli si sta ritorcendo contro
Un’ultima domanda: che cosa le piace di JA al punto da aver accettato di assumerne la guida?
Ho conosciuto JA tanti anni fa, facendo parte delle commissioni per giudicare i campionati dell’imprenditorialità: sono uno spettacolo! Ricordo benissimo che la prima volta ho pensato “peccato che quando ho fatto io le superiori questa proposta non c’era, perché mi ci sarei buttata a capofitto”. Con JA vedo ogni volta dei ragazzi, soprattutto del Sud, che hanno una grandissima voglia di emergere, una voglia incredibile di far vedere ciò che possono fare. In uno degli ultimi campionati dell’imprenditorialità europei a cui ho partecipato, ho conosciuto un gruppo di ragazzi e la loro idea mi è piaciuta così tanto che poi li ho contattati per implementarla nell’azienda in cui lavoro. Era un progetto legato ai rifiuti, con dei bins particolari per cui la collocazione del rifiuto nel contenitore corretta dava anche un feedback al dipendente, che ne aumentava l’indice di benessere. Una cosa piccola, che però abbiamo realizzato nei tre piani della nostra azienda, coinvolgendo quel team. Questi ragazzi oggi stanno proponendo la loro idea – che non è più solo un’idea ma è stata messa a terra – ad altre grosse realtà aziendali e a istituzioni pubbliche. Questo è quel coraggio che noi manager dobbiamo avere nei confronti dei ragazzi e delle loro idee. E questo è il motivo per cui sono onorata di avere la presidenza di JA Italia.
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