Welfare

ANMIL:«Numeri ancora troppo alti»

E' il commento del Presidente dell’ANMIL Franco Bettoni in occasione della presentazione del rapporto INAIL sull’andamento infortunistico nel 2011 in cui si sono verificati 750mila incidenti.

di Redazione

«C’è ancora molto da lavorare sul fronte della sicurezza nei luoghi di lavoro; bisogna dare completa attuazione alle norme del 2009; insistere con maggiore vigore sullo sforzo di costruire una solida cultura della prevenzione; intensificare i controlli e le attività di formazione e di informazione», questi i punti fondamentali sui quali richiama l’attenzione il Presidente dell’ANMIL Franco Bettoni rispetto alla presentazione del rapporto INAIL sull’andamento infortunistico nel 2011. «Non abbiamo avuto molto tempo per analizzarli e studiarli quanto meritano poiché siamo convinti che i dati INAIL sui quali il Presidente De Felice ha tenuto una relazione molto interessante, rappresentino una fonte preziosa di indicazioni e valutazioni significative per rafforzare l’opera normativa sulla prevenzione e applicare in modo efficace il decreto 81. Condividiamo però – aggiunge Bettoni – la preoccupazione del Capo dello Stato circa le contraddizioni che emergono sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali, pur in un quadro di complessivo miglioramento generale che resta comunque da approfondire la situazione occupazionale nei vari settori produttivi».

«Infatti – spiega il Presidente dell’ANMIL – se si può manifestare una certa soddisfazione sull’andamento complessivo del fenomeno, altrettanto non si può dire se si guarda alle sue dimensioni che permangono ancora oggi del tutto inaccettabili: 725.000 infortuni nel solo anno 2011 stanno a significare che in pratica ogni giorno, compresi ferie e festivi,  ben 2.000 lavoratori subiscono un trauma con conseguenze più o meno pesanti di natura fisica, psicologica ed anche economica e ogni anno sono almeno 40.000 (più di 100 al giorno) i lavoratori che subiscono una menomazione permanente di grado indennizzabile (dal 6% al 100%). Il numero delle vittime registrate all’interno dei luoghi di lavoro rimane sostanzialmente invariato (450 nel 2011 rispetto ai 452 del 2010), come pure il numero di morti tra i lavoratori extracomunitari, generalmente impegnati in attività ad alto rischio, è identico a quello del 2010 (138), mentre sono addirittura in aumento le vittime nell’industria pesante (meccanica e metallurgia), in agricoltura e le denunce di malattie professionali».

“In particolare, nei settori della meccanica e della metallurgia le morti sul lavoro sono cresciute rispettivamente del 27,3% e del 19%. Sono settori, peraltro, che hanno un peso molto rilevante nell’ambito dell’Industria, un ramo di attività particolarmente colpita dalla pesante crisi economica e che nel corso del 2011 ha fatto registrare un ulteriore calo lavorativo sia in termini di occupati (-0,6%) che di Unità di Lavoro Anno equivalenti (-0,4%). Situazione pressoché analoga quella dell’Agricoltura dove si registra una crescita del 2,7% dei casi mortali pur in presenza di un calo dell’1,9% degli occupati e di ben il 2,8% delle ULA”.

“Anche a livello di genere, a fronte di una riduzione degli infortuni per entrambi i sessi (-7,0% per i maschi e -5,6% per le femmine) si registra una recrudescenza della mortalità per le donne lavoratrici: tra il 2010 e il 2011 la componente femminile ha fatto registrare un incremento del 15% dei casi mortali, passati da 78 a 90 unità”. “Inoltre, pur se quelli diffusi dall’INAIL sono dati ufficiali ed assolutamente attendibili – aggiunge Bettoni – va detto che le statistiche dell’Istituto per loro natura non possono tenere conto di possibili situazioni di mancata denuncia da parte di datori di lavoro senza scrupoli o di altri fenomeni, come il lavoro ‘nero’, che tendono ad acutizzarsi proprio nei periodi di crisi”.

“Né si possono dimenticare, parlando di ‘grandi numeri’, i circa 720.000 disabili che, a seguito di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, hanno riportato nel corso della loro vita lavorativa una invalidità per la quale percepiscono una rendita il cui importo medio ammonta a circa 4.000 euro l’anno (poco più di 300 euro al mese). Un esercito di lavoratori ed ex lavoratori che, nell’adempimento del proprio dovere, hanno subito una grave menomazione, come può essere una tetraplegia o l’amputazione di un arto, o anche di minore gravità ma che comunque si è rivelata sufficiente per estrometterli definitivamente dal mercato del lavoro. In questo senso va ribadito che riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo dei disabili rappresentano i temi sui quali si misura anche il livello di civiltà di un Paese e sui quali l’ANMIL ha da sempre centrato le proprie battaglie per imporli  con forza all’attenzione delle istituzioni”. “A fronte di queste considerazioni chiediamo oggi un’attenzione specifica su questo fenomeno del Presidente Monti la cui esperienza nel mondo dell’economia non può fargli ignorare, in tempi di crisi, la voragine che provoca il costo degli infortuni, all’infuori di quello umano: oltre 35 miliardi di euro tra cure mediche e riabilitative, protesi, giornate lavorative perse e la grave difficoltà di reinserimento lavorativo che influisce sulla perdita di autonomia e ricade sulla spesa sociale”.

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