Non profit
ANIMALI. Palio di Siena a rischio, Lav: «Bene, difendiamo i cavalli»
La presa di posizione dell'associazione a favore dell'ordinanza ministeriale sulle corse con animali
«Dopo anni di cavalli e fantini morti e feriti, dopo anni di denunce e manifestazioni delle associazioni animaliste, finalmente grazie al Sottosegretario alla Salute Francesca Martini si fa un passo concreto in avanti sulle corse di equidi per i palii». Comincia così un comunicato diffuso dalla Lav in merito alle recenti decisioni del governo che potrebbero mettere a rischio manifestazioni come il Palio di Siena. «Pur auspicando la cessazione di ogni manifestazione con utilizzo di animali», continua l’associazione, «la LAV saluta positivamente la pubblicazione e quindi l’efficacia dell’Ordinanza ministeriale (cliccare qui per leggerla) e l’annuncio di una prossima organica legge sulla materia, promessa per quasi due anni in Parlamento dal precedente Governo ma mai presentata».
«Queste nuove odierne minime regole», scrive la Lav, «affidando o confermando precise, ineludibili responsabilità a Comitati organizzatori, Commissioni comunali e provinciali di vigilanza sugli spettacoli, veterinari Asl e liberi professionisti, tecnici dei fondi, siamo sicuri che non permetteranno più l’autorizzazione allo svolgimento di una serie di palii fra i quali quelli inventati, improvvisati o colpevolmente sforniti di requisiti minimi di sicurezza per cavalli, asini, fantini e spettatori. Speriamo che l’atto annunciato riesca a evitare tragedie umane e animali che negli anni hanno caratterizzato i nomi di diverse città e paesi italiani, e ancora proprio l’altro ieri Calascibetta in provincia di Enna, da Sedilo a Siena, da Feltre a Ferrara, da Belpasso a Buti, da Fucecchio ad Asti, da Ronciglione ad Acate, da Avola a Floridia, da Bomarzo a Tolfa.
La Lav conclude «augurandosi che anche le manifestazioni ippiche riconosciute siano oggetto di uno specifico intervento legislativo – ricorda che il maltrattamento degli animali e l’uso di doping sono reati e da cinque anni prevedono la reclusione per i casi più gravi, a prescindere dal riconoscimento storico di una manifestazione da parte della Regione che non può omettere l’applicazione del Codice penale».
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