Formazione

Anghelopulos, un cine-abbraccio

Recensione del film "La sorgente del fiume" di Theo Anghelopoulos (di Maurizio Regosa).

di Redazione

Il tempo è un singulto. Ci può riempire l?anima in taluni momenti e può soffocarla in altri. Non è prevedibile e la sua durata si espande in preziosi crocevia. È un singhiozzo rapido e doloroso quando l?individuo s?imbatte, spesso subendola, con la grande Storia, quella delle guerre, delle tirannie, della morte. È viceversa un singulto lungo, che pare sospeso e senza esiti, quando l?esistenza sembra dilatarsi in un momento interminabile: il primo abbraccio, il congedo dalla persona amata, l?incontro con un altro essere umano. È forse da queste riflessioni che è partito Theo Anghelopoulos per realizzare La sorgente del fiume, uno dei suoi migliori film (il primo di una trilogia sul Novecento): una narrazione forte e intensa, non lineare, imperniata su una storia d?amore a tratti struggente che, dall?immediato primo dopoguerra, ci accompagna sul finire degli anni 40. Più di due decenni attraversati camminando assieme ai due protagonisti, un uomo e una donna, tra le infinite, dolorose traversie che il destino riserva loro. Ma è appunto il tempo delle emozioni a prendere il sopravvento e a consentire il racconto di tutti questi anni in modo così ellittico e incisivo: la verità è cosa diversa dal realismo, può spingersi sin sulla soglia della visione fantastica e oltre. Così la fuga di lei da un matrimonio combinato e crudele, si espande al di là di ogni piatta verosimiglianza. Così gli istanti dell?addio (l?uomo è costretto a emigrare in America) si dipanano fra le mani dei due, come il filo di lana che lui tiene fra le dita allontanandosi in barca dalla riva dove lei lo ha appena abbracciato. Sono immagini che catturano e commuovono, registrate dalla macchina da presa in modo solo apparentemente neutro. Il montaggio, per l?autore di Lo sguardo di Ulisse, non frammenta la sequenza delle immagini: avviene nell?inquadratura, con i movimenti interni al quadro, l?uso del fuori campo e la contrapposizione fra primo piano e sfondo. Il risultato è un?opera di vera poesia, in cui ciascuno può riconoscersi non solo perché talune emozioni e sentimenti sono inevitabilmente universali, ma soprattutto perché lo spettatore è condotto a questa partecipazione emozionale e intellettuale da una messa in scena sapiente, che suggerisce ed evoca, riuscendo alla fine a mettere a fuoco al tempo stesso lo sguardo lungo della storia e la inconsapevole miopia di noi fragili esseri umani.

Maurizio Regosa


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