Politica

Anghelé: «La sfida per il nuovo Governo è la trasparenza nei rapporti con gli stakeholder»

Se esistesse una legge sul lobbying, spiega il direttore di The Good Lobby Italia, «la consultazione in maniera proattiva dei portatori di interessi, anche e soprattutto della società civile, dovrebbe avvenire in un quadro istituzionalizzato, con un vantaggio per il Paese che attiverebbe le sue risorse migliori sul piano sociale». Ecco perché il tema della trasparenza riguarda da vicino il Terzo settore

di Marco Dotti

«Questo governo non lavora con il favore delle tenebre», dichiarava l'ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Eppure, proprio sulla trasparenza dei processi decisionali il suo governo si è arenato. Ora si apre una nuova sfida, per il governo entrante e per il Paese: rendere trasparente, tracciabile, ma anche strutturale il confronto con gli stakeholder. Come? Iniziando da una legge sul lobbying.

Ne parliamo con Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby in Italia, da molti anni impegnato sui temi dell'advocacy e della trasparenza.

Lobbying, trasparenza, regolamentazione dei conflitti di interesse: perché sono così importanti, proprio ora che le emergenze vengono lette esclusivamente sul piano economico o sanitario?
Per una ragione molto semplice: perché sono la base metodologica per procedere. Quando si parla di lobbying si tende a considerarlo ciò che non è: il contrario della trasparenza nelle decisioni. Invece, lobbying e trasparenza decisionale vanno di pari passo. Il rischio è che ci siano troppe zone d'ombra e, in quelle zone d'ombra, può accadere di tutto.

Soprattutto ora che sono in gioco interessi strategici per il Paese e, cosa non da poco, miliardi di euro in investimenti…
Proprio per evitare queste zone d'ombra servirebbe una legge sul lobbying che renda costante e continuo il coinvolgimento degli stakeholder.

Pensiamo alla giornata di ieri: siamo rimasti tutti colpiti dalle consultazioni con la società civile e il mondo del Terzo settore da parte del presidente incaricato Mario Draghi. È un buon segnale e, oltretutto, un segnale di discontinuità…

Forse solo Bersani, quando era stato incaricato di formare un possibile governo, aveva incontrato un ventaglio così ampio di associazioni (penso a quelle ambientaliste)…
Se se esistesse una legge sul lobbying questo genere di procedure, ossia la consultazione in maniera proattiva dei portatori di interessi, anche e soprattutto della società civile, dovrebbe avvenire in un quadro istituzionalizzato. Con un vantaggio per il Paese. Una legge sul lobbying renderebbe anche più legittima questa procedura di consultazione.

Si eviterebbero discorsi del tipo «perché hanno invitato questa e non quell'altra associazione»…
Rendendo tutto più strutturale e, quindi, trasparente si darebbe centralità a regole del gioco condivise e chiare per tutti.

Forse è arrivato il momento giusto affinché questa cultura del lobbying diventi sistema?
Ne sono convinto per tre ragioni. La prima ragione è che è fondamentale far sentire la pressione civile in una fase storica in cui ci sarà un afflusso davvero massiccio di denaro. Poter tracciare i rapporti e le relazioni tra portatori di interessi e decisori pubblici è importante come non mai: ne va della legittimazione stessa delle scelte che verranno fatte.

Poter tracciare i rapporti e le relazioni tra portatori di interessi e decisori pubblici è importante come non mai: ne va della legittimazione stessa delle scelte che verranno fatte

Federico Anghelé

Una seconda ragione è che Draghi viene da una cultura europea, ha lavorato in istituzioni dove le procedure di consultazione degli stakeholders e di interazione sono più tracciate e sistematizzate. Il terzo punto è che, anche sul piano parlamentare, prima della crisi di governo eravamo già a una fase evoluta del discorso sul lobbying. Inoltre esistono proposte di legge molto buone dell'allora maggioranza. Queste proposte hanno già seguito il proprio iter alla Commissione Affari Istituzionali e dovrebbero solo passare alla Camera per essere discusse e approvate.

Uno degli scontri più duri che ha portato alla caduta del secondo governo Conte è stato sulla trasparenza del piano per il Recovery Fund. Un piano che molti ministri hanno addirittura ammesso di non aver né visto, né letto…
Noi di The Good Lobby siamo stati i primi a denunciare il fatto che, nell'ultima bozza licenziata da Conte in Consiglio dei Ministri, poco prima della crisi, era scomparsa completamente la piattaforma di monitoraggio civico sulla spesa e sull'allocazione oltre che sull'avanzamento dei progetti. C'è stata, nei mesi scorsi, una mancanza di trasparenza nella gestione dei processi decisionali. Non è chiaro chi sia stato ascoltato, né in che maniera si è arrivati a quella bozza di piano…

Non è chiaro nulla. Non di meno c'è una facile obiezione: la politica deve fare le proprie scelte…
Sì, ma è anche vero che vanno resi espliciti e trasparenti i passaggi in cui ci sono interazioni con aziende o portatori di interesse. Questa cosa, nei mesi scorsi, non è sempre stata chiara. Come non è per niente chiara quale sarebbe stata la governance del piano-Conte per il Recovery Fund.

Si pensava a una governance con costanti deroghe…
Invece si potrebbe fare del Recovery Fund l'occazione, e lo strumento, per immaginare un ruolo diverso per la Pubblica Amministrazione. Una Pubblica Amministrazione che si assuma responsabilità diverse rispetto al passato, eviti di derogare (sappiamo che le deroghe sono spesso un'anticamera per camere molto oscure), e introduca nei propri processi decisionali in maniera sistemica la trasparenza delle procedure, una gestione molto più accountable come tratto cruciale e determinante per costruire un ponte tra noi e il futuro.

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