Scusate, ma non mi unisco all’assordante coro che urla i vaffanculo contro chi sta nelle istituzioni ed elogia con stucchevole retorica e senza guardarli né capirli nemmeno gli “angeli del fango” -che poi sarebbero volontari singoli di protezione civile- dell’alluvione di Genova o di qualsiasi altra tragedia annunciata. Non mi unisco perché prima di tutto diffido dei cori, che finiscono sempre per essere caricature grottesche dei buoni pensieri. E poi perché c’è troppa poca verità nel ridurre la realtà ad una contrapposizione fra angeli senza macchia, pardon macchiati di fango, e diavoli nelle stanze dei bottoni. Semplicemente perché in mezzo c’è tanta altra roba.
Un esempio? Fuori dal caso singolo, certamente, ma non mi pare che decenni di cementificazione selvaggia scandalosamente autorizzata dai decisori pubblici, i politici, siano state mai accolte con proteste, vaffanculi e barricate. Non mi pare proprio anche perché qualcuno, anche alcuni di quelli che oggi sono allagati o alluvionati, ci ha guadagnato e anche parecchio. Non mi pare che siano cadute giunte comunali o governi, non mi sembra che la lotta dei “comitatini” contro il cemento sia mai diventata virale o collettiva. Mi pare invece che in tanti ci abbiano mangiato, e parecchio.
È vero, oggi le alluvioni colpiscono dove c’è stata meno cura del territorio, dove la priorità è stata solo il cemento, dove gli oneri di urbanizzazione sono andati a ingrassare le prebende date dai politici di turno e niente si è fatto per opere di urbanizzazione necessarie. Sì, è tutto vero, ma addossare senza argomentare e indistintamente tutte le colpe, e i vaffanculo, su chi ora è dentro le istituzioni è ipocrita. E soprattutto è una prosecuzione di quella cultura menefreghista che ha creato il disastro, il dissesto e i danni. Quanti cittadini si sono posti il problema di come veniva ridotto il territorio in cui vivono? Ve lo dico io: pochi, pochissimi. E quei pochi oggi sono quelli che hanno più dignità nel parlare.
Così come elogiare volontari con le pale che spalano come i salvatori della patria, come gli unici degni di vivere in questo paese, come l’unica goccia di splendore in un deserto di melma è esagerato e non fa bene né a loro né a tutti. Anche perché quei ragazzi non sono eroi o santi, sono persone che hanno capito almeno due cose fondamentali: che le istituzioni oggi sono scandalosamente goffe nel rispondere all’ordinario, figuriamoci alla emergenze; che la speranza si alimenta con la concretezza e spalare significa aiutarsi, significa sperare in un Paese migliore e meno egoista.
Succede oggi, è successo in ogni epoca della storia di qualsiasi Paese e in altre epoche, in altre alluvioni. Spesso poi ragazzi come loro sono stati lasciati soli sotto la repressione dai cori dominanti, o dimenticati, o ancora targati come illusi e utopisti quando alzavano la voce. Occorre scoprirlo dalla televisione che la parte migliore di un Paese sono i giovani che si impegnano?
Mi piacerebbe stringere la mano a quei ragazzi che hanno ridicolizzato con eleganza Beppe Grillo nell’invitarlo a prendere la pala e fare meno parata, perché di parate di politici come Grillo ne hanno, mi pare, piene le scatole quasi tutti. Perché speculare sulla sofferenza e la difficoltà è un piatto consumato della politica nostrana, perché in alcuni momenti se proprio il silenzio non può essere mantenuto almeno la sobrietà e la misura dovrebbero vincere. E rispondere “ditelo a Renzi di venire a spalare” è così infantile e goffo che diverte pure sentirlo dire.
Dividere irreversibilmente il mondo in buoni e cattivi è il modo migliore per non cambiarlo. È un gesto conservatore, che venga da destra o da sinistra. Le istituzioni hanno le loro responsabilità, spesso le loro colpe, altrettanto spesso meritano la cattiva reputazione che si sono create. Ma non sono ditte individuali del politico di turno, sono strumenti che la nostra democrazia, piaccia o no, si è data per raggiungere gli obiettivi che la Costituzione ha fissato.
Dentro quelle istituzioni a volte ci sono anche persone, generalmente sole, che fanno tutto il possibile per migliorare le cose, per rendere più vivibile e sicuro un territorio. Ereditando spesso dei disastri dal passato. E non è accettabile, scusate, che oggi vengano messi tutti indistintamente alla berlina.
Soprattutto se viene fatto da quella generazione che parla tanto e spara sentenze, quella dei genitori dei trentenni di oggi, che prima ha contribuito alla disgregazione di questo Paese in ogni sua forma, ed oggi spara scandalizzata contro tutti e tutto spargendo in lungo e in largo il verbo “non c’è speranza”, oppure “fossi giovane io me ne andrei da questo Paese”, o ancora “con la pensione me ne vado a vivere all’estero”, ma anche “devono andare tutti affanculo”.
No, proprio no. Lasciamo le retoriche e i pruriti da parte, smettiamola di dividere il mondo in buoni e cattivi, in angeli e diavoli, e guardiamo in faccia alla realtà per ricostruirla. Abbattere ciò che danneggia e innalzare ciò che fa bene. Ci vuole molto?
p.s.: ho trovato bellissima questa lettera di una volontaria pubblicata su Wired.
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