Formazione

Angela, da Palermo con dolore e splendore

Recensione del film "Angela" di Roberta Torre.

di Giuseppe Frangi

Ha la gioia del cinema sulla pelle, Roberta Torre. Milanese, emigrata a Palermo, giunta al suo terzo film, con Angela conferma il suo puro talento. Dal punto di visivo è un piacere: ritmo perfetto, soluzioni degne da videoarte, luci mozzafiato. La storia è semplice. Angela, moglie di un boss di medio livello e padrona di un negozio di scarpe a Palermo (a proposito, che Palermo prorompente e vitale, quasi ?guttusiana?!), s?innamora del bellissimo, ma un po? ambiguo, braccio destro del marito. Alla fine resta sola, senza né l?uno – incarcerato -, né l?altro – scomparso. Roberta Torre, di slancio, rompe con tutti gli stereotipi dei film di mafia (del tipo giudici bravi, boss cattivi), non pretende di fare un film di valenza sociale, ma si cala dentro la città, senza moralismi, ma con l?occhio di chi s?è innamorata di Palermo e della sua vita. Tocca momenti di cinema straordinario: il rantolo dello scotch, srotolato senza risparmio, che accompagna l?incellophanatura affannosa di un cadavere. Oppure la luce pura, inattesa che invade lo schermo per raccontare le fuggenti scene d?amore tra Angela (la straordinaria Donatella Finocchiaro) e il giovane Masino. Unico appunto al film: la debolezza della storia. Troppo lineare, troppo simile al plot di un telefilm, troppo trattenuta. La Torre ha messo come sottotitolo al film «da una storia vera». Ma una storia può essere vera se anche accetta di scivolare laddove l?invenzione la può trascinare. Anzi, alla fine, si scopre ancora più vera.

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