Sostenibilità
Anfaa: il diritto a un figlio non esiste
Riceviamo e pubblichiamo l'intervento di Frida Tonizzo (Anfaa) al recente convegno di Firenze. «La preparazione e valutazione degli aspiranti genitori adottivi esperita dai servizi socio sanitari del territorio sia approfondita. Buona parte di essi ha superato i 40 anni ed è reduce da reiterati tentativi falliti di fecondazione: considerano sovente il loro figlio desiderato come un risarcimento dovuto e non una loro risposta al suo diritto»
In questo intervento anticipiamo le richieste/proposte che l’Anfaa intende presentare alla Commissione Adozioni Internazionali nei prossimi giorni, chiedendo un’audizione in merito, dal momento che fra i compiti della CAI è prevista la promozione di una consultazione con le associazioni familiari a carattere nazionale.
Una premessa. È diminuito (in questa sede non andiamo ad approfondire le ragioni) il numero dei minori adottati provenienti da Paesi stranieri, metà dei quali non ha ratificato la Convenzione de L’Aja e non dà quindi le garanzie minime previste dalla normativa vigente in merito alle procedure adottive, anche e soprattutto in relazione all’accertamento del reale stato di adottabilità (non chiamiamolo più abbandono, termine che ha una connotazione negativa). È cresciuta negli ultimi anni l’età media dei minori e la complessità delle loro condizioni psicofisiche.
Chiediamo pertanto alla CAI un impegno urgente ed attivo nei confronti delle Istituzioni preposte affinché:
- la preparazione/valutazione degli aspiranti genitori adottivi esperita dai servizi socio sanitari del territorio, siano approfondite e calibrate in relazione alle specifiche condizioni dei minori. Una buona parte degli aspiranti genitori adottivi ha superato i 40 anni, non ha avuto figli e sovente è reduce da reiterati tentativi falliti di fecondazione omo ed eterologa che hanno prostrato le coppie portandole a considerare sovente il loro figlio desiderato come un risarcimento dovuto e non una loro risposta al suo diritto ad avere le necessarie cure affettive ed educative.
- si realizzi un’assunzione di responsabilità maggiore da parte dei Tribunali per i minorenni così come, in caso di ricorso, da parte delle Corti di Appello nella emanazione dei decreti di idoneità, sovente “aperti” e basati sostanzialmente su un mero accertamento dei requisiti formali e non sulle effettive capacità di essere genitori nel tempo.
- un sostegno post adottivo, come peraltro avviene anche nei casi di adozione nazionale, in molte realtà inesistente e in altre difficoltoso. Non sempre gli Enti autorizzati si attivano, anche per obiettive difficoltà dovute alle distanze fra la sede operativa e la residenza della famiglia, aumentando in tal modo i rischi – finora molto contenuti – di crisi adottive che senza un adeguato sostegno possono sfociare nell’allontanamento del bambino/ragazzo. A questo riguardo vogliamo stigmatizzare come lo Stato, le Regioni e gli Enti locali abbiano finora largamente disatteso l’applicazione dell’art. 6 , comma 8 della legge n. 184/1983 che prevede per chi adotta minori con special needs (adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato) misure di carattere economico e sostegno alla formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di diciotto anni degli adottati.
- una responsabilizzazione e un coinvolgimento del mondo scolastico per la piena attuazione delle Linee di indirizzo sul loro diritto allo studio.
Chiediamo inoltre alla CAI un impegno attivo:
- per promuovere la diminuzione del numero degli Enti autorizzati, oggi in numero assolutamente sproporzionato rispetto ai minori adottati, numero che rende più difficile anche il lavoro di confronto, monitoraggio e verifica del loro operato da parte della stessa CAI;
- per sollecitare gli Enti ad operare nei Paesi che hanno ratificato la Convenzione de L’AJA;
- per aumentare la promozione di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei minori, pur riconoscendo che negli ultimi mesi si è verificata una significativa ripresa di attività da parte della Cai, c’è molto ancora da fare in questa direzione;
- per aprire un serio confronto anche con le altre istituzioni coinvolte nella organizzazione e gestione dei soggiorni solidaristici che non dovrebbero riguardare minori in stato di adottabilità (minori che invece sono stati inseriti nei programmi); in ogni caso sarebbe comunque necessaria una preventiva valutazione da parte dei servizi delle capacità delle famiglie che si propongono per l’accoglienza di questi minori, che può arrivare anche a 120 giorni all’anno e di un adeguato monitoraggio.
Riteniamo infine che debbano essere attivate le condizioni per contrastare attraverso corrette prassi operative il rischio di commistione fra adozioni internazionali e traffico dei minori, che non può essere mai tollerato o giustificato, nemmeno in nome di un inesistente diritto a un figlio.
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