Cultura

Andreoli: il dolore e l’umana passione

Recensione del libro "Capire il dolore" di Vittorino Andreoli (di Antonino Piazza).

di A. Capannini

In una società dove si vive (o non si vive) narcotizzati dal bagliore dei cartelloni pubblicitari, dove si gioca al massimo nella corsa per conquistare ricchezza e occupare posti di forza e di prestigio sociale, Vittorino Andreoli, neuropsichiatra e scrittore, non carabiniere in camice bianco, si sofferma, più che con scienza con coscienza, con umana passione cioè, a meditare sul dolore, legittimandolo «come fonte di conoscenza». Non l?unica, «anche se ciò non comporta il farne un elogio e promuoverlo», anzi «per comprenderlo, per accettarlo, per condividerlo». In Capire il dolore (Rizzoli, euro 16,50) Andreoli denuncia «l?esigenza di una nuova gerarchia delle cose, non più ordinate secondo schemi edonistici o tesi al successo, bensì in base al significato della vita e della sua difesa, dell?attaccamento all?esistere». In sostanza il bisogno di una cultura della condivisione, della solidarietà: «Le scienze esatte sono in grado di studiare bene l?anatomia dei muscoli del viso, ma senza cogliere il sorriso. Possono conoscere alla perfezione i muscoli orbicolari, ma mai lo sguardo, mai lo sguardo di un bambino che, dopo aver succhiato il latte dalla madre, alza gli occhi e la guarda. Mai potrebbero giungere alla percezione, alla conoscenza di cui si occupa il Cantico dei Cantici». Ossia il bisogno di abbracciare, odorarne la purulenta piaga, senza ideologica piaga.

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