Cultura
Andrée Shammah: perché ho portato Gesù a Milano
Lo spettacolo nel mirino dei tradizionalisti. Parla la fondatrice del Teatro Parenti
Gennaio è per tradizione un mese caldo su questo palco: 40 anni fa, di questi tempi, il teatro Franco Parenti (allora si chiamava Pier Lombardo) inaugurava le sue attività con uno spettacolo formidabile che aveva diviso Milano: era L’Ambleto di Giovani Testori. Oggi, senza più Testori né Parenti, su quello stesso palco saliranno in scena i protagonisti di uno spettacolo che ha innescato l’indignazione, davvero un po’ irrazionale, dei cattolici tradizionalisti. È Sul concetto di volto nel figlio di Dio, di Romeo Castellucci, che è stato al centro di violente contestazioni già a Parigi. Strano destino: Parenti, il grande attore protagonista dell’Ambleto, era comunista, Andrée Ruth Shammah, regista sin dalla prima ora, è ebrea. Ma se c’è un filo conduttore tra questi due spettacoli distanti 40 anni, è l’ingombrante, incalzante presenza di Cristo, in parole (Testori) o in figure (Castellucci). A parte questo, le differenze tra allora e oggi sono tante. Andrée Shammah in questi giorni è sommersa di lettere metà di insulti e metà di sostegno. Quel che più la inquieta è la discesa in campo di siti antisemiti, con attacchi violentissimi alla sua persona. La “prima” è prevista per il 24 gennaio, e si annuncia calda. «Hanno annunciato di voler dire un rosario riparatore davanti al teatro; ho offerto loro una sala all’interno, se ritengono giusto questo gesto. In fondo, questa non è terra dissacrata: è qui dentro che un giorno ho conosciuto don Giussani. E qui disse la messa don Mazzi a dieci anni dalla morte di Testori».
Lei non s’aspettava tutto questo can can. Ma Parigi era stata un’avvisaglia…
Ovviamente lo spettacolo lo avevamo fermato prima. È la prima volta che la Compagnia di Castellucci, che è una delle più stimate in Europa, arriva al Franco Parenti. Da tantissimo non erano a Milano. Ma non avevamo certo agito in modo superficiale. Vista la delicatezza del tema ho cercato di capire, parlandone con Castellucci. Ho letto i giudizi di religiosi importanti che avevano visto lo spettacolo, parlandone benissimo. Se si legge la lettera del regista scritta in occasione di questa messa in scena milanese, si capisce la serietà e la profondità della sua riflessione. È uno spettacolo che si inseriva benissimo in una programmazione che mette al centro i nodi e le domande importanti per l’uomo d’oggi. E poi era stato a Venezia e persino a Roma, e nessuno aveva avuto niente da ridire. È uno spettacolo che prende molto sul serio il cristianesimo.
Però in molti non l’hanno capita così. Come se lo spiega?
Francamente non so darmi una ragione. Certo, le lettere che mi arrivano sono inquietanti per violenza, e sembra che stiano parlando di un’altra cosa che non è lo spettacolo di Castellucci. Per fortuna me ne arrivano anche tante di sostegno. Una di un ragazzo mi ha commosso: mi scriveva di stare tranquilla, perché Cristo non ha bisogno di milizie per farsi largo nel mondo.
Il seguito dell’intervista sul numero di Vita in edicola
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