Volontariato

Andata e ritorno da Nyala a Kass

Viaggio tra attacchi janjaweed immaginari

di Joshua Massarenti

Da Nyala – Giorgio Trombatore me lo aveva anticipato: “C’e’ da stare tranquilli, la strada che collega Nyala a Kass e’ priva di pericoli. Certo qualche mese fa, era un’altra storia”. Per il coordinatore dei progetti della Cooperazione italiana, con base in Casa Italia, a Nyala (capoluogo del Sud Darfur), “non tutto quello viene raccontato sui media italiani riflette la realta’ del posto”. Chi in Darfur ci mette per la prima volta i piedi, porta con se un bagagaglio di percezione “preventiva” afflitto da sangue e miseria. Condizioni con cui convivono, da vicino o da lontano, oltre 6 milioni di persone in balia di una guerra civile che dal febbraio 2003 ha steso definitivamente al suolo 180mila esseri umani, in stragrande maggioranza civili appartenenti a tribu’ africane. Siamo il 6 ottobre 2005. Prima di imbarcarsi sulla strada che ci portera’ assieme ai cooperanti italiani a Kass (90 km circa a nordovest di Nyala), coltivo gia’ l’idea – e forse anche la paura – di incontrare i temutissimi Janjaweed (miliziani arabi responsabili dei massacri compiuti sulle popolazioni civili africane). Ai primi chilometri, i simboli urbani di Nyala lasciano spazio a un paesaggio fatto di arbusti, rari campi di miglio e sorgho inframezzati da strisce di aridita’. Sui bordi di un manto stradale bucato da ogni dove, si affacciano ragazzini sorridenti pronti a salutare gli stranieri di turno. Quasi sembra di stare in Senegal, tra Dakar e Diourbel, se non che, di colpo, si intravdede in lontananza un villaggio fantasma, le cui casupole ridotte a ceneri non lasciano spazio ai dubbi. “Qui la guerra ha fatto la sua parte” spiega Trombatore, “o meglio i Janjaweed”. A cavallo o su cammelli, questi predoni originari dalla tribu’ dei Zeregat fanno da queste parti il brutto e il cattivo tempo. “In Darfur”, ricorda l’operatore umanitario italiano appartenente alla cooperazione italiana, “sai che esci di casa, ma non sai mai se ci torni. E questo, in qualsiasi periodo, anche oggi, quando sei sicuro che fino a Kassa dovresti arriverci senza nessun tipo di difficolta’”. E di difficolta’, non ne incontreremo nemmeno una. O forse si’. Al ritorno, bucando due volte (una rarita’), il che ci costringera’ a rimanere fermi un’ora in attesa dell’arrivo di un altro logista della Cooperazione italiana presente a Nyala, Filippo Fani Ciotti. Per il resto, nulla. Se non due ore a romperci la schiena su strade impossibili, il che lascia intuire che fare soccorso umanitario in Darfur (e non solo) e’ un lavoro massacrante. Ieri El Fasher (nord Darfur), oggi Nyala, domani Mohajerya (un centinaio di chilometri a ovest di Nyala, lungo un percorso molto piu’ pericoloso), e poi Khartoum, oltre alle migliaia di chilometri macinati, Trombatore, al pari probabilmente di altri migliaia di operatori umanitari, attraversano a proprio rischio e pericolo savane, villaggi e montagne, consci che l’agguato e’ sempre dietro l’angolo. E gli attori sono sempre quelli: i Janjaweed, cosi’ come piu’ di recente elementi del principale movimento ribelle “africano”, lo Sla (Esercito/Movimento di liberazione del Sudan). Tra Nyala e Kass, tanto per intenderci, alcuni mesi fa e’ stata uccisa una cooperante occidentale per mano dei predoni arabi. In questi giorni, tutto sembra tranquillo. Ma fino a quando?


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