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Ancora 417 anni e divento ricco come Del Piero
Sarebbe compito della politica creare un Paese in cui esistesse un minimo di decenza nella distribuzione dei redditi
Pare impossibile che i giornali italiani, a ogni occasione per parlare di cose serie, scelgano puntualmente di riempire le loro pagine di scemenze. Prendete la faccenda delle dichiarazioni dei redditi 2005 messe su internet dall?Agenzia delle Entrate, poi tolte, poi oggetto di indagine del Garante della privacy e, addirittura, di titoli fantasiosi sul pericolo di arresto per l?ex viceministro responsabile della pubblicazione, Vincenzo Visco.
Le polemiche sulla privacy, condite con le inevitabili interviste al vip di turno, sono semplicemente risibili: i dati, per legge, sono pubblici e quindi i riccastri che li vorrebbero pubblici, sì, ma consultabili solo dal loro commercialista, hanno una coda di paglia lunga dalle Alpi alle Piramidi. C?è qualche buon motivo perché non si debba sapere che il signor Carlo Micheli, nemmeno quarantenne e fino a ieri noto solo come figlio del finanziere milanese Francesco Micheli, ha dichiarato nel 2005 centouno (101) milioni di euro?
Magari, il fatto che qualcuno guadagni 101 milioni potrebbe stimolare delle riflessioni non sul fatto che lo sconosciuto finanziere ha guadagnato quasi quattro volte il reddito di Berlusconi padre (28 milioni) e dieci volte il reddito di Francesco Totti (10 milioni) ma sul fatto che 101 milioni corrispondono a 60.000 (sessantamila) mesi di stipendio di un ricercatore universitario o di un operaio, che portano a casa circa mille euro al mese.
Sessantamila mesi di stipendio, ovvero l?equivalente di 5mila anni: l?operaio della Thyssen messo in lista da Veltroni avrebbe dovuto lavorare non solo per tutta l?era cristiana, ma faticare fin dai tempi di Hammurabi per mettere insieme una cifra paragonabile a quella del signor Carlo Micheli nell?anno di grazia 2005.Qualcuno potrebbe obiettare che Micheli è una ?anomalia? nelle liste dei redditi 2005.
Allora prendiamo delle figure più terra-terra, calciatori ben noti come Alessandro Del Piero o Paolo Maldini, che hanno dichiarato 9 milioni a testa. Nove milioni di euro corrispondono a circa 5.000 (cinquemila) mesi del mio stipendio di 1.800 euro al mese. Cioè, se io lavorassi per i prossimi 417 (quattrocentodiciassette) anni, guadagnerei quanto Del Piero nell?anno solare 2005. Devo confessare che non mi dispiacerebbe né arrivare insegnando a 97 anni, né avere poi altre quattro vite da spendere: se nella Bibbia taluni hanno avuto figli a tardissima età, io sarei compiaciuto di avere studenti dopo 417 anni di insegnamento.
Temo che chiunque abbia letto le famose liste dei redditi raggruppate per categorie (gli imprenditori, i calciatori, gli architetti, le soubrette, gli stilisti?.) debba arrivare alla conclusione che il mondo qui e adesso è invece di Carlo Micheli, Francesco Totti, Fiorello (3,6 milioni), mentre i professori che prendono 1.800 euro al mese (dopo aver scritto vari libri e vinto concorsi) sono dei poveri sfigati.
All?università questo si nota meno, ma non c?è dubbio che gli studenti alle superiori guardano ai loro docenti come a dei falliti, degli incapaci di raggiungere quell?apprezzamento, stima e riconoscimento sociale che vengono ogni giorno tributati a chi guadagna 9 milioni, o anche solo 2,8 milioni (Bruno Vespa) ma non certo mille o 2mila euro al mese.Forse potremmo usare le liste pubblicate per qualche esercizio di gossip in meno e qualche riflessione sulla società italiana in più.
Cosa ci dicono i redditi superiori al milione di euro l?anno messi a confronto con la stagnazione dei salari? Semplicemente che la disuguaglianza è cresciuta, che il nostro Paese si allontana dall?Europa (in particolare quella del Nord) dove la disuguaglianza è contenuta e si avvicina all?Africa o all?America Latina, continenti dove un pugno di ricchissimi galleggia su oceani di poveri.
Questo lo sappiamo perché proprio un italiano, lo statistico Corrado Gini, inventò nel 1912 il coefficiente che porta il suo nome, che misura l?uguaglianza dei redditi con una cifra compresa fra 0 e 1: in un Paese dove tutti i redditi fossero rigorosamente uguali, l?indice di Gini sarebbe 0, in un Paese dove un solo individuo controllasse tutto il reddito prodotto, l?indice sarebbe 1.
In pratica, i Paesi scandinavi o il Giappone hanno un coefficienti di Gini sotto quota 0,30 (la Norvegia ha 0,25) mentre gli Stati Uniti stanno sopra 0,40 e Messico e Brasile sfiorano quota 0,50.
L?Italia, con il suo 0,36 si avvicina pericolosamente al livello degli Stati Uniti e tende palesemente a diventare un Paese dove la distanza fra ricchi e poveri è non grande, immensa.
Il che stimola due domande: preferireste vivere in Norvegia o in Brasile? E poi: ci può essere qualcosa in comune fra l?Italia degli stilisti Dolce e Gabbana (29 milioni a testa) e l?Italia di un pensionato da meno di 10mila euro?
La società dei consumi crea i miti di cui ha bisogno e li paga in proporzione alla loro utilità, non al merito, ma sarebbe compito della politica creare un Paese in cui ci possa essere un sentimento di appartenenza basato anche su un minimo (ripetiamo, un minimo) di decenza (non parliamo di equità) nella distribuzione dei redditi.
Altrimenti, a tenere insieme la nazione rimangono soltanto l?inno di Mameli e Shevchenko, che fra l?altro è ucraino.
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