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Ancora 20 anni e lo sconfiggeremo. Parola di Nobel
Intervista a Eric R. Kandel, guru della neurofisiologia
di Marco Dotti
«È uno spettro che ci fa paura, perché noi siamo quello che ricordiamo. Ma la scienza ha gli strumenti per vincere» Eric R. Kandel è professore alla Columbia University di New York e lavora presso il Kavli Institute of Brain Sciences, di cui è direttore, e presso l’Howard Hughes Medical Institute. Nel 2000 è stato insignito del premio Nobel per le sue ricerche sulle basi fisiologiche della conservazione della memoria nei neuroni. Lo incontriamo a Bergamo, dove lo scorso 3 ottobre ha tenuto una conferenza nell’ambito della manifestazione Bergamoscienza.
Vita: Come definirebbe la memoria?
Eric Kandel: La memoria è la modalità che ci permette di conservare la conoscenza all’interno del nostro cervello. L’apprendimento ci permette di accrescere conoscenza, la memoria ci permette di conservare quella conoscenza. Per questo siamo ciò che siamo in virtù di ciò che abbiamo imparato e che ricordiamo. Siamo ciò che ricordiamo, ma anche ciò che non sappiamo di ricordare.
Vita: Proprio per questo la malattia di Alzheimer ci spaventa tanto? Ci impedisce di essere ciò che siamo?
Kandel: Siamo ciò che siamo per quello che apprendiamo e per quello che ricordiamo. La memoria è il collante che ci mantiene in vita. L’Alzheimer come tale è una sorta di spettro che incombe sulla nostra conoscenza e sul tessuto stesso di questa capacità di apprendere e ricordare. L’Alzheimer coinvolge aspetti profondi, culturalmente e antropologicamente profondi, del nostro rapporto con il ricordo e con gli altri. Aspetti che, su piani diversi, non siamo ancora preparati ad affrontare. Oggi che la vita media si è allungata, almeno in Occidente, il desiderio – accresciuto anche dai media – è di una speranza di vita sempre più lunga, ma la paura è che questa vita sia senza memoria. Va detto, però, che la scienza attuale non è molto distante dal trovare terapie e soluzioni a un problema di questo tipo.
Vita: Eppure, anche qui, la percezione comune è che si sia tuttora in alto mare.
Kandel: Semplicemente perché, allo stato attuale delle conoscenze, non esiste una terapia consolidata per il trattamento della sindrome di Alzheimer. Ritengo però che nei prossimi dieci anni avremo delle buone soluzioni al problema. E che, soprattutto, nei prossimi venti avremo soluzioni addirittura eccellenti. Possiamo dunque dire che la percezione individuale è una cosa, ma la tendenza generale è che abbiamo imboccato delle strade che daranno risultati.
Vita: Crede sia solo una questione “scientifica”? O è anche una questione culturale?
Kandel: La memoria è un intreccio di entrambe le cose, non possiamo prescindere dal primo polo della questione, ma neppure dal secondo se vogliamo cogliere la complessità della sfida che la memoria e le sue patologie, come l’Alzheimer, ci pongono. Ci pongono non solo come scienziati, ma come uomini, presenti e attivi in una comunità. Da una parte abbiamo una evoluzione biologica, dall’altro l’evoluzione culturale. Se camminiamo in una città, una delle piccole città del Nord Italia come Bergamo, possiamo facilmente renderci conto di questo intreccio: stili diversi, stratificati, sovrapposti, ramificati, connessi o sconnessi ma presenti, qui e ora, sotto il mio, sotto il suo sguardo. La memoria è simile a questo centro cittadino, strati profondi e strati più recenti convivono. La memoria ha radici profonde, ma queste radici affondano anche nel futuro che ci sta davanti.
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