Mondo

Anche noi siamo nel mirino

Parlano i cooperanti italiani di alcune ong.

di Carlotta Jesi

“Siamo diventati un bersaglio”. Bagdad, 19 agosto, ore 16.30: Marina Cremonese, cooperante del Coopi, ha lasciato da venti minuti il quartier generale delle Nazioni Uniti. Riceve una telefonata, si collega alla Bbc, riconosce fra gli uomini dell?Onu che scavano tra le macerie i colleghi con cui ha trascorso la giornata e si sente un bersaglio. Perché la bomba che ha ucciso il Commissario Onu Sergio Vieira de Mello, scoppia per i suoi 300 uomini ospitati nel Canal Hotel, per i loro 300 colleghi sparsi in tutto il Paese e anche per il personale delle oltre 60 ong impegnate nella capitale irachena. «Non si distingue più», confida Marina a Vita, «siamo diventati un target». Di chi? E perché la macchina umanitaria è finita nel mirino? Nino Sergi, di Intersos, punta il dito contro l?atteggiamento dei soldati americani: «Troppo militaresco in un momento che dovrebbe essere di pacificazione. Fa orrore a noi, figuriamoci agli iracheni. Coi soldati che girano in abiti civili e partecipano alle operazioni umanitarie, poi, si fa presto a fare confusione». Confusione che la società civile denuncia fin dal suo ingresso in Iraq. Inascoltata, purtroppo. Come hanno dimostrato i ripetuti attacchi al personale delle ong e poi la bomba contro l?Onu. «Da giorni eravamo nella fase 4 di sicurezza, la seconda più grave nella scala delle Nazioni Unite», racconta la cooperante del Coopi, «ma non ci aspettavamo un attacco così». Tempo di fare le valige e tornare a casa? «È la cosa peggiore che Onu e ong possano fare», spiega Alberto Piatti dell?Avsi, «Oggi sono bersaglio di chi non vuole che l?Iraq si sviluppi in una democrazia evoluta. Se partono, il Paese è spacciato. Pensiamo piuttosto a una forza multinazionale che entri in campo per proteggere gli operatori umanitari». Contrario a un?evacuazione delle ong è anche Fabio Alberti di Un ponte per che, solo a Bagdad, il 19 agosto aveva 4 cooperanti. «È vero, in Iraq sta crescendo l?ostilità verso gli occidentali. Proprio per questo diventa importante lavorare con la società civile e i servizi religiosi locali per chiarire la confusione tra personale umanitario ed esercito d?occupazione». Secondo Alberti, le Nazioni Unite potrebbero essere diventate un target per il doppio ruolo che oggi rivestono in Iraq: «Umanitario ma, allo stesso tempo, politico: in un certo senso ha avallato la nomina di un governo fantoccio da parte degli Stati Uniti».


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