Non profit
Anche Linux ha il suo indice
Cresce l'importanza dell'indice creato per misurare le performance delle aziende che investono su Linux
di Redazione
Per gli investitori e i broker di Wall Street, i sandali, i pantaloni e la cultura dei programmatori di Linux sono un universo difficile da decifrare. Troppo strano, troppo casual e troppo pieno di gadget. Ma una cosa è certa: il Linux Index, l’indice di borsa che Linus Torvalds e Co. hanno creato per monitorare le performance delle aziende che investono su Linux, è diventato indispensabile per il loro lavoro. Perché? Semplice: fra le 30 compagnie monitorate dall’Indice Linux, che secondo il Wall Street Journal verrà presto utilizzato quanto il più popolare Dow Jones Industrial Average, figurano colossi capaci di rivoluzionare il mercato: da Ibm a Compaq, da Motorola a Magic Software. Le aziende dell’indice sono divise in due categorie: nella prima ci sono quelle molto interessate a Linux, come la Red Hat Inc. che distribuisce il sistema operativo, nella seconda quelle che si limitano a qualche investimento, come Ibm, che ha adottato una piattaforma Linux e ai clienti suggerisce di lavorare su sistemi operativi aperti. L’indice è calcolato sommando la capitalizzazione di ciascuna azienda della prima categoria e considerando quelle della seconda per l’1% del loro valore.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.