Non profit
Anche la responsabilità sociale ha il suo ‘carrozzone’
La Fondazione per la diffusione della responsabilità sociale delle imprese, nata nellaprile 2005, è costata sino ad oggi 2 milioni di euro
Il governo di centrodestra l?ha voluta (legge Finanziaria 2005, art. 1, comma 160), il governo di centrosinistra non la ama, ma nemmeno vuole chiuderla. Per ora l?ha rifinanziata, poi si vedrà. Di certo, il nome della Fondazione per la diffusione della responsabilità sociale delle imprese (denominata anche Italian Centre for Social Responsibility o I-Csr), promossa dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l?Inail, l?Unioncamere e l?università Bocconi, sembra assente nei programmi futuri del governo, in merito all?implementazione delle buone pratiche inerenti la responsabilità sociale d?impresa.
La fondazione e il governo
La fondazione – che ha tra i suoi compiti quelli di promuovere la diffusione della responsabilità sociale delle imprese nelle relazioni con i diversi stakeholder e di sviluppare la ricerca sulla responsabilità sociale e favorire il dialogo tra istituzioni pubbliche e private, imprese, università – ha sede a Milano, è presieduta dal professore dell?università Bocconi, Carlo Sechi (direttore generale Luciano Polazzo) ed era stata fortemente voluta dall?ex ministro del Welfare, Roberto Maroni. Che aveva dotato la fondazione di ben un milione di euro, sia nella Finanziaria 2005 che in quella 2006. La Finanziaria 2007 ha, comunque, messo in conto ben 750mila euro, anche se i «problemi di comprensione» tra la nuova regia politica della Solidarietà sociale (ministro Ferrero e sottosegretario Franca Donaggio, che ha delega sulla materia) e l?istituto sono stati tanti. Al punto che se ne paventava la chiusura. «Per pregiudizio dovuto al marchio politico del fondatore e forse per scarsa conoscenza del nostro lavoro», spiegano fonti della stessa fondazione. A dire la verità, la sottosegretaria Donaggio – parlandone qualche tempo fa a un convegno organizzato dall?Abi – ha confermato la volontà del governo di riprendere il tema della csr ponendolo al centro del discorso sulla competitività del sistema Paese, ma con dei paletti che puntino «più sui comportamenti che sulla normazione ». Della fondazione, al momento, la sottosegretaria non vuole parlare. «Una fondazione enucleata e isolata dal resto degli altri stakeholder serve a poco», spiega <b>Alessandro Beda</b>, vicepresidente di Sodalitas nonché membro della commissione Cultura di Confindustria, «ma se si va verso il suo rilancio nulla in contrario, purché integrato e innervato da altri osservatori». Beda ha un timore più generale e insieme più fattuale, a dire la verità, e cioè che «si torni alla cultura della certificazione, del bollino blu, per la responsabilità sociale. Le imprese non sono interessate», spiega, «perché distrugge la concorrenza; preferiscono meccanismi di promozione delle buone pratiche, che stimolano la concorrenza, sulla csr, ed evitano meccanismi distorsivi».
Troppo essenziale?
A Milano, alla fondazione sono più che altro impegnati a rilanciare la loro azione: «Siamo un istituto di ricerca autonomo, anche se appoggiato dal governo (che è presente con due rappresentanti nel cda), e, dopo l?iniziale freddezza, siamo già stati dal ministro a spiegargli che facciamo», dice uno dei dirigenti. «Oggi sappiamo che finanziamenti ci sono, anche se di entità minore». Certo, dal 2005 ad oggi 2 milioni di euro più 750mila in arrivo e a ben guardare il sito (www.i-csr.it), sono più i membri della governance (un totale di 25: otto nel direttivo, 12 nel comitato scientifico e 5 di staff) che le pagine prodotte sino ad oggi: un solo documento di 16 pagine, copertina compresa, intitolato <i>L?essenziale della csr</i>. Forse un po? troppo ?essenziale? per 2 milioni di euro e per una vita ufficialmente iniziata il 29 aprile 2005!
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