Volontariato
«Anche in mezzo alla morte ho trovato degli occhi che sorridono»
Dal 2007 Martina Colombari è testimonial convinta di Fondazione Francesca Rava NPH Italia Onlus. L’ultimo suo viaggio da volontaria risale al novembre 2013. Vita.it l'ha intervistata per farsi raccontare il perchè di un impegno tanto duro
Dal 2007 Martina Colombari non è solo una testimonial convinta di Fondazione Francesca Rava NPH Italia Onlus. Quando le è stato chiesto di diventare operatrice sul campo ad Haiti, di dare una mano di persona a un popolo piegato dalla sofferenza, lei ha accettato senza tentennamenti. Inizialmente l’ha vissuta come una sfida personale. Solo in un secondo momento – quando, una volta sbarcata sull’isola, ha avuto modo di constatare coi propri occhi cosa significa convivere ogni giorno con la povertà e le privazioni – ha cominciato a provare un’empatia vera, che le ha afferrato il corpo e l’anima. L’ultimo suo viaggio da volontaria risale al novembre 2013: ancora una volta, un’occasione per dimostrare a se stessa, molto più che agli altri, che una persona può definirsi completa solo se ha il coraggio, e la sensibilità, di non girare lo sguardo di fronte a chi sta male.
Che fase della vita stava attraversando quando ha accettato di diventare volontaria sul campo per Fondazione Rava?
Era un periodo in cui venivo coinvolta in una varietà di iniziative benefiche, immaginazione non corrispondeva alla realtà di Haiti. Mi sembrava di vivere in un film: la scoperta, per la prima volta sulla mia pelle, che esiste un Paese in cui si muore veramente di fame. Si muore, capisci? È sconvolgente verificarlo coi propri occhi
Possiamo dire che quel primo viaggio ha segnato uno spartiacque nel modo di rapportarsi al mondo circostante?
Sì mi ha aperto la testa, mi ha aperto il cuore; mi sono anche arrabbiata molto perché inizialmente ti fa incazzare quello che vedi. Pensare a quanto noi in Italia ci lamentiamo per ogni cosa, prendiamo tutto alla leggera: quando sei là capisci che devi darti una bella ridimensionata
Gli occhi dei bambini di Haiti parlano il linguaggio degli occhi dei suoi figli?
«Sì perché comunque hanno quell’ingenuità, quella sensibilità che è comune a ogni bambino. Sono segnati però dalla sofferenza, quindi sono occhi che sorridono ma allo stesso tempo chiedono in cambio qualcosa
Dove ha trovato il coraggio di prendere in mano i corpi dei bambini defunti, per portarli alla sepoltura?
Una volta che fai una scelta, devi portarla avanti fino in fondo. Quindi se Padre Rick in quel momento ha bisogno di braccia, di mani per portare questi bambini alla sepoltura – che sia prenderli dalla cella frigorifera oppure interrarli nei sacchi bianchi – si fa anche questo. Certo è dura, è veramente dura, però se pensi che i volontari di Padre Rick lo fanno tutti i giovedì, vuol dire che il mio impegno per due giovedì, tre giovedì all’anno è una cosa davvero marginale
Avendo a che fare così da vicino con uno spettacolo di morte, impone di farsi delle domande?
Tante domande, perché le parole di Padre Rick ti fanno riflettere, sia che tu sia credente sia che non lo sia. Io credo in Dio, anche se non sono troppo praticante. Mi spaventa moltissimo la morte, odio il pensiero che tutto possa finire, e lui cerca di fartela vedere da un punto di vista cristiano: stai accompagnando un’anima nell’aldilà, nella dimensione ultraterrena. Se cerchi di interpretarla, di viverla in questo modo, allora la morte si alleggerisce un po’. Ci provo a pensarla così, ma faccio ancora un po’ fatica
Eppure si riesce a scorgere l’allegria tra i bambini che ha incontrato ad Haiti…
Quando ti accorgi che non c’è niente, ti attacchi alla speranza. Quando vedi la fine di fronte a te ti viene quel – scusami il termine – “fuoco al culo” per andare avanti. Perché c’è tanta violenza oggi ad Haiti? Perché queste persone hanno fame: sono costrette a uccidersi tra di loro per rubare quelle quattro ciotole di riso. Quindi è una fame che ti porta all’esasperazione. Gli haitiani non sarebbero affatto un popolo violento
La crisi economica che stiamo vivendo in Italia potrebbe rendere gli italiani più generosi?
Adesso si fa più fatica a chiedere donazioni, a coinvolgere gli italiani nei progetti di charity, però la gente si lascia coinvolgere dalle iniziative serie. Io li ho visti coi miei occhi i progetti realizzati, dalle fondamenta al vedere operativo il reparto di un ospedale piuttosto che una casa per disabili. Se tu sei trasparente, la gente non si tira indietro
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