Tra le dune di Tindouf , al confine meridionale tra Algeria e Mauritania, stanno per arrivare uomini e donne che hanno promesso alla popolazione Sarawi, esiliata nei campi profughi, di curare i segni lasciati sui loro corpi da malattie e incidenti. Poliomelite, meningite, traumi da parto, fratture, mine anti persona. «Mettiamo in atto la ?riabilitazione su base comunitaria?», spiega Emilio Vellati, presidente di Fisioterapisti senza Frontiere, il coordinamento di tecnici della riabilitazione che tra poco avvierà il progetto tra i Sarawi insieme alla ong Cestas. «Il programma di riabilitazione non va impostato come un servizio fornito dall?esterno ma va messo in pratica attraverso la comunità, in modo che alla fine resti patrimonio della popolazione». Mariangela Mangeruga, dell?Istituto romano Santa Lucia, racconta la propria esperienza in Albania: «Quando ho conosciuto Flora aveva tre anni e non stava neanche seduta. I genitori la tenevano fasciata in culla. Li abbiamo convinti a iniziare gli esercizi; oggi Flora ha dieci anni e cammina con un deambulatore». In Albania il tasso di disabilità è del 5,86 per mille, come in molti Paesi poveri. «La riabilitazione è un processo lungo, per cui occorrono anche operatori locali», dice Enrico Quarello della Comunità di Capodarco. E Vellati conclude: «La soddisfazione maggiore è vedere come nelle comunità migliora la percezione sociale della disabilità quando si dimostra che certi handicap possono essere affrontati con successo».
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