Formazione

Anche dall’estero, si può #fare

di Serena Carta

Organizzano sit-in davanti al Parlamento europeo, dialogano con i politici italiani in missione a Bruxelles, indirizzano lettere al governo Letta e lanciano appelli in rete. Vivono, studiano e lavorano nella città del Manneken-Pis, ma non per questo non si interessano al loro paese d’origine, l’Italia, nel quale – chi prima chi dopo – vogliono tornare. Alla politica italiana chiedono un impegno serio e azioni concrete per affrontare la piaga della disoccupazione giovanile e dell’emigrazione all’estero. Nel gennaio 2013 hanno disegnato il loro logo su un pezzo di carta, #GiovaniItalianiBruxelles, e da allora non si sono più fermati.

Quando gli ho chiesto perché farsi in quattro per l’Italia da Bruxelles, invece di godersi la possibilità di avere un lavoro stabile e pagato in una città paneuropea in cui gli intrattenimenti non mancano, mi hanno risposto «perché no!». E così mi sono fatta raccontare.

«Giovani Italiani Bruxelles è un’iniziativa nata spontaneamente prima delle elezioni. Io, Daniel, e la mia collega Francesca eravamo in ufficio quando abbiamo letto la notizia in cui si diceva che la disoccupazione giovanile in Italia era ai massimi storici (sfiorava il 37%). Da lì a qualche mese saremo andati a votare e così ci siamo chiesti: cosa stanno facendo i politici italiani per i giovani? L’impressione era infatti che si parlasse dei giovani come se fossero uno spot pubblicitario, senza mai fare proposte concrete. Visto che noi siamo a Bruxelles e, a differenza per esempio di chi vive in Norvegia, possiamo facilmente entrare in contatto con i politici italiani – in Belgio vivono quasi 300.000 italiani e tutti i partiti vengono qui a fare campagna elettorale – abbiamo pensato che fossero la città giusta e il momento ideale per farsi sentire. Nel giro di pochi giorni abbiamo organizzato la nostra prima riunione: hanno partecipato 70 persone e abbiamo capito che non eravamo i soli a sentire l’esigenza di discutere di Italia, giovani e occupazione».

Daniel e Francesca hanno rispettivamente 28 e 26 anni. Lui, italo-inglese, lei di Cremona. Insieme a loro due, un’altra ventina di ragazzi costituiscono lo “zoccolo duro” di Giovani Italiani Bruxelles. Non tutti sono lavoratori, alcuni studiano, altri sono disoccupati. Sono il primo gruppo giovanile apartitico e auto-organizzato che dall’estero cerca di fare pressione politica sul governo italiano. Non si riuniscono per lamentarsi o per attribuire colpe né per guardare con rassegnazione alla patria lasciata alle spalle, ma per condividere pensieri e proposte positive. Sono attivi portavoce di una “generazione Europa” in movimento che non vuole accettare passivamente l’etichetta di “cervelli in fuga”.

«Pensiamo che ci sia una mancanza di visibilità mediatica su questi temi. Non si parla mai del ragazzo “normale” che ha lasciato l’Italia; si parla solo dei cervelli in fuga, ma a noi non piace usare questa espressione. Perché chiunque lascia l’Italia è una perdita: che vada a fare il barista a Londra o uno stage al Parlamento europeo a Bruxelles, si tratta sempre di qualcuno di qualificato, che paga tasse e contributi fuori dall’Italia e che rappresenta quindi una perdita economica».

Il sogno di Daniel e di Francesca è quello di tornare in Italia nell’immediato futuro. Ma non tutti i membri di Giovani Italiani Bruxelles hanno la stessa esigenza. «C’è una doppia anima all’interno del nostro gruppo: chi vuole tornare subito, perché crede che ci sia un’urgenza e il paese ha bisogno dei suoi giovani; e chi preferisce rimanere fuori perché all’estero sta bene, ma vuole avere il diritto di essere fiero dell’Italia invece di rattristarsi o difenderla da chi insiste su tutto quello che non funziona». Non c’è nulla di male a viaggiare e andare a vivere all’estero, ma «lo spostarsi non deve essere vissuto come un obbligo e devono essere create le condizioni per reinserirsi socialmente e professionalmente una volta tornati». Da questa esigenza nascono le cinque proposte fatte al governo italiano attraverso l’#appellogiovane lanciato questa primavera in vista delle elezioni politiche: 1. un investimento maggiore nell’istruzione e nella ricerca; 2. la creazione di un legame tra la formazione e l’ingresso nel mondo del lavoro; 3. la predisposizione di incentivi all’assunzione dei giovani; 4. l’accesso agevolato al credito; 5. la facilitazione dell’esercizio del diritto di voto all’estero.

Uno dei meriti dei Giovani Italiani Bruxelles è anche quello di tenersi in contatto con le associazioni giovanili simili alla loro che hanno sede in Italia, per raccogliere esigenze e richieste da portare nelle sedi europee a Bruxelles. «Lo spirito di iniziativa, di condivisione e la voglia di fare buona politica animano i nostri coetanei e colleghi in Italia come noi qui a Bruxelles. Crediamo sia fondamentale confrontarci con realtà italiane perché vogliamo che sia innanzitutto l’Italia a beneficiare della nostra attività. Quando ad esempio dobbiamo parlare di misure e questioni specifiche con i parlamentari europei, dobbiamo sapere con esattezza qual è la situazione e per questo chiediamo a chi vive in Italia cosa sta succedendo».

Tra le tante voci raccolte, emerge in particolare la difficoltà ad affermarsi a causa della giovane età. «Parlando con giovani imprenditori, quello che ci siamo sentiti dire più spesso è che la giovane età in Italia non viene premiata. Per esempio dalle banche, che la considerano un sinonimo di mancanza di esperienza e quindi un ostacolo all’ottenimento di finanziamenti. Negli altri paesi, al contrario, essere giovani costituisce un elemento a favore».

A chi sostiene che l’Italia NON è un paese per giovani, Daniel e Francesca rispondono con grinta: «Sì, l’Italia è un paese per giovani e chi ha vissuto per diversi anni all’estero impara ad apprezzarlo di più e a coglierne i fattori positivi: lo stile di vita, il sistema valoriale, il senso della comunità e della condivisione. Nonostante questo, c’è tantissimo da fare. In primis, garantire ai giovani un certo tipo di realizzazione e di stabilità economica. Chiunque vive e lavora in Italia non può infatti prescindere dall’appoggio della propria famiglia; mentre gli italiani che vivono all’estero sono in grado di mantenersi da soli, perché hanno un salario adeguato e riescono a vivere di quello che fanno. L’Italia è un paese per giovani perché è ricco di di creatività e di buone idee. Ma questo non basta: è quantomai urgente la necessità di lavorare su delle riforme strutturali dedicate ai giovani». E questo è quello che loro fanno: da Bruxelles, lo ricordano ogni giorno alla classe politica italiana.

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