Non profit
Anche ai volontari serve un manager
reclutamento e selezione, formazione, turn over e percorsi di carriera: concetti aziendali che valgono sempre di più anche per le Onlus.
di Redazione
Fino a poco tempo fa la parola management era una parola “impronunziabile”per coloro che facevano parte di una associazione non a scopo di lucro. Significava o evocava in qualche modo “affari” e queste associazioni si vantavano di essere libere dalle minacce dell’affarismo e di essere al di sopra di ogni considerazione di profitto.
In tempi più recenti il concetto di management si è sempre più legato all’idea di dinamicità e complessità ambientale, questo ha favorito l’applicazione di alcuni principi manageriali anche alle Onp. Ciò è attribuito al fatto che le associazioni senza scopo di lucro hanno maggiori esigenze di gestione rispetto alle imprese for profit proprio perchè macano loro alcune forme di regolazione dettate dal profitto. Ci si rende conto che le “buone intenzioni”non sostituiscono l’organizzazione e la direzione per obiettivi, la distribuzione delle responsabilità e l’l’attenzione ai risultati.
è quindi evidente che le Onp basano la loro capacità operativa in via esclusiva o complementare sul volontariato, assumano competenze riguardo la gestione dei volontari attraverso l’introduzione di meccanismi operativi dedicati, quali:
-la gestione dei volontari come risorsa incrementabile;
-la gestione della professionalità del personale volontario nelle fasi di reclutamento/selezione, formazione e incentivazione, valutazione e programmazione.
Reclutamento e selezione
Uno dei problemi che sta emergendo negli ultimi anni è quello del reclutamento, in passato si contava sull’autocandidatura dei volontari e l’atteggiamento dell’organizzazione era sostanzialmente passivo, ora emerge sempre più l’esigenza di attuare vere e proprie campagne di reclutamento, sensibilizzando le persone su alcuni problemi di tipo sociale, stimolando la loro partecipazione e la voglia ad apportare il proprio contributo a questo tipo di organizzazioni.
Non è più possibile accettare i volontari solo in base alla disponibilità e “buona volontà”, occorrono meccanismi di selezione che consentano di garamtire la coerenza tra i fini dell’organizzazione e le competenze e le motivazioni richieste. La motivazione deve necessariamente essere forte e radicata, la selezione deve garantire l’esistenza di attitudini di base che facciano presupporre un apporto costante e duraturo di contributi. La disponibilità di tempo non è più condizione sufficiente, ma è necessaria la presenza di attitudini e di una preparazione specifica, che comporta formazione e qualificazione professionale.
Formazione e incentivazione
Molte associazioni prevedono ormai corsi di formazione preparatori a svolgere la propria attività di volontario, di tipo teorico e pratico, incentrati in buona parte anche sulla necessità di alimentare l’alto livello di motivazione necessari a svolgere attività ad alto contenuto relazionale e complesse dal punto di vista emotivo.
La possibilità per i volontari di vedere accresciute le proprie competenze, grazie alla formazione e all’esperienza, serve oltre tutto da meccanismo di incentivazione, sopratutto quando questa è in qualche modo attinente alla attività lavorativa(infermieri, medici, ecc). Aumentando la richiesta e l’esigenza di formazione è necessario introdurre programmi con precisi obiettivi e con responsabilità diffusa ai diversi livelli operativi. L’idea che non si possono avere pretese nei confronti dei volontari, in quanto non retribuiti, è da considerarsi in parte superata o comunque da integrare. I volontari proprio perchè non retribuiti devono trovare condizioni più stimolanti e motivanti rispetto a ogni altro contesto lavorativo, avere la possibilità di ricavare una soddisfazione ancora maggiore nelle loro azioni e di dare un contributo rilevante. Non ci si può perciò attestare su apporti routinari e ripetitivi, ma è necessario rinnovare sempre il senso della “sfida” e del crescente impegno.
Dall’altra parte è particolarmente importante mantenere il contributo di ognuno nei limiti della proprie potenzialità e possibilità di tempo, infatti proprio per le sue caratteristiche intrinseche sopra evidenziate, l’attività di volontariato porta con sè il rischio di eccedere nell’impegno. Il rischio di eccedere oltre le proprie possibilità fisiologiche e psicologiche ha oltre tutto ripercussioni pericolose e con alto impatto su tutta l’organizzazione per l’innestarsi del “circolo vizioso” esposto più avanti.
Si assiste inoltre a un ulteriore fenomeno. la costante trasformazione del volontario da “dilettante” armato di buone intenzioni, a membro del personale non retribuito, professionista, con alle spalle una considerevole formazione. Un numero sempre crescente di volontari è costituito da professionisti o persone con esperienze anche manageriali. Soggetti che non vogliono semplicemente fornire un aiuto, ma che svolgono “lavori ad alto contenuto concettuale” nel contesto lavorativo e desiderano avere “mansioni ad alto contenuto” nel volontariato. SI aspettano di essere consultati e di partecipare alle decisioni attinenti il loro lavoro e l’intera organizzazione. Il passaggio da volontari di associazioni non a scopo di lucro a profesionisti non retribuiti, riguarda un numero sempre crescente di persone e con conseguenze rilevanti sul settore non a scopo di lucro da cui non si potrà prescindere nella progettazione dei meccanismi di gestione del personale.
Percorsi di carriera e valutazione
I volontari vedono favorevolmente anche “possibilità di avanzamento”: nell’ambito delle Onp la programmazione delle carriere è percepita non tanto come possibilità di avanzamento nella scala gerarchica, ma come possibilità di assumersi impegni via, via crescenti, compiti sempre più impegnativi e a un livello sempre maggiore di responsabilità. I volontari insistono perchè il loro operato vengaverificato e confrontato con gli obiettivi prefissati, pretendono in alcuni casi che vengano disincentivate le persone non produttive, assegenano loro incarichi più adatti alle loro caratteristiche o consigliandoli a lasciare. Nelle imprese fo profit risulta particolarmente difficile far accettare meccanismi di valutazione basati sul raggiungimento di obiettivi specifici predefiniti. Nel caso dei volontari la richiesta di essere valutati sugli obiettivi è invece intrinsecamente legata alla motivazione che li ha portati a essere volontari, ovvero rispondere nella maniera più adeguata possibile alla soluzione di problemi e alla risposta di bisogni a domanda individuale(l’handicap, gli anziani, ecc.) e collettiva (tutela dell’ambiente, ricerca, ecc.).
La programmazione
Le associazioni di volontariato sopratutto quando si sono consolidate nel tessuto sociale e assumono parallelamente maggiori responsabilità sociali, intese da una parte come garanzia di continuità e dall’altra come possibilità di mantenere l’erogazione di servizi di qualità.
Ciò implica che le Onp non si possono più affidare e non possono più domandare tutte le responsabilità ai singoli individui, che in un periodo possono esserci e nel momento successivo andarsene, ma devono agire e attivarsi per garantire un basso turn over attraverso opportuni strumenti di programmazione. Personale spesso altamente qualificato, che è necessario cercare di mantenere. Tutti i meccansmi che consentono di consolidare i rapporti con i volontari, dalla selezione alla formazione, dal reclutamento all’incentivazione, rendono possibile l’attuazione di politiche di programmazione e di coordinamento del personale e quindi dei servizi erogati: sapere con precisione quante persone siano disponibili in un certo periodo dell’anno o quali siano le più adatte per un determinato incarico è alla base della qualità di un buon servizio.
Nel presente scritto si sono affrontate se pur sinteticamente alcune delle sfide della società odierna valutando in parte alcuni temi determinanti dello sviluppo delle organizzazioni e aziende non profit: in primo luogo(nella parte pubblicata la scorsa settimana)la necessità di individuare le motivazioni all’agire volontario. In secondo luogo si sono riconfermati alcuni principi dell’agire “economico” all’interno dell’organizzazione, poichè indipendentemente dalle motivazioni di base che ha spinto a “partecipare2 si deve ricercare all’interno dell’organizzazione il minore e migliore impiego di risorse umane possibili rispetto ai risultati.
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