Credo sia giunta l’ora, anche per noi preti, di smetterla di fare polemiche perché le Ave Maria di Albano distraggono i fedeli al matrimonio e, invece, la canzonetta delle ragazze dell’Azione Cattolica, stonata, “Se guardo il cielo, la luna e le stelle”, offre maggior raccoglimento.
Battiamoci il petto, umili e pentiti domandiamoci, in fretta, dove abbiamo sbagliato. La storiella della televisione del Grande Fratello, dei costumi lascivi, dei genitori ambedue lavoratori, del relativismo culturale, sposta da troppo tempo la lancetta delle colpe sugli altri.
Tanto meno dobbiamo giocare sui numeri e sulle statistiche. Ad esempio, da almeno cinque anni, io e altri diciamo che va affrontato il problema dell’insegnamento della religione nelle scuole.
Ho fatto arrabbiare molti laici quando, tempo fa, mi sono domandato perché noi preti non andiamo più nelle scuole a fare religione gratuitamente (essendo “già stipendiati” dall’Istituto del Sostentamento del Clero). Non voglio rubare il lavoro a nessuno.
Mi voglio solo domandare come “la Parola” possa arrivare ai tanti giovani, che troviamo solo nella scuola? Come renderla meno specializzata e più popolare? Soprattutto come renderla simpatica e affascinante? Non so se ricordate il detto: “Mio Dio, fai diventare buoni i cattivi e più simpatiche le persone buone”.
Ora rispondo alla partecipazione del cantante Albano ad un matrimonio che ha suscitato polemiche, secondo me, inutili. Nel 2012 in chiesa si è sposato solo il 25% della gente. E inoltre: ogni cento coppie che si sposano, settanta si dividono. Milano è la città dove il crollo dei matrimoni religiosi si è trasformato in terremoto!
Voglio, tanto per capirci, domandarmi perché nella cappellina della mia cascina nel Parco Lambro, benedetta dal Cardinale Martini, non possa fare matrimoni, battesimi, venticinquesimi.
Sono un prete troppo “atipico” e poi il Sinodo ha deciso che i matrimoni e i battesimi ecc. si fanno nella parrocchia di residenza. È mai possibile che non si voglia capire che la parrocchia non è più concepita come sede di vita dei figli, dei genitori.
In una metropoli dove tutti lavorano, dove la case sono ostelli notturni perché la mattina l’intera famiglia spopola, e nel week end parte per andare a riposare, è mai possibile che non si possano promuovere luoghi diversi ma più amati e vissuti dalla gente?
E poi vogliamo dirci che non è vero che chi si sposa in parrocchia è più serio, più preparato, più fedele? Ho fatto matrimoni nei luoghi più impensati. Ha cantato e suonato gente di ogni genere! Durano ancora, meglio di altri.
Comunque sull’AMORE, sul matrimonio, sulle cerimonie in chiesa, sulla preparazione e soprattutto sul “monitoraggio” (scusate il vocabolo) c’è da riprendere tutto daccapo. Se i preti fossero meno in chiesa e più tra la gente e se la pastorale della strada, della coppia, della famiglia, fosse meno “formale ed ecclesiastica” forse un barlume di speranza tornerebbe e le percentuali sarebbero meno “terremotate”.
Perché senza un AMORE vero, stabile, profondo, interiore, autentico, non si vive.
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