Welfare

Amnistia, per i cappellani va estesa anche ai reati gravi

L'ispettore Giorgio Caniato lancia un appello a nome dei 240 colleghi: "necessario fa uscire almeno 20/25mila detenuti"

di Redazione

Le carceri italiane, la cui ”capienza e’ di 40mila persone, anche se il Ministero parla di una capienza tollerabile di 60mila” stanno scoppiando con oltre 60mila detenuti. Per questo e’ indispensabile un ”provvedimento del Parlamento” secondo i concetti ”giuridicamente precisi” di amnistia o di condono, che faccia uscire ”almeno 20-25mila detenuti”. Lo afferma l’ispettore dei cappellani delle carceri italiane, mons. Giorgio Caniato che spiega che il provvedimento andrebbe esteso anche a quei detenuti che hanno commesso reati per i quali il codice non prevede ne’ amnistia ne’ indulto, come per esempio a chi ha commesso anche omicidi, ma si trova alla fine della pena. Mons. Caniato, a nome dei 240 cappellani delle carceri italiane, resta pero’ ”scettico” sulla possibilita’ che a fine legislatura si varino provvedimenti favorevoli ai detenuti, anche se ”la speranza e’ l’ultima a morire”. ”La speranza e’ l’ultima a morire” anche per suor Paola, da venti anni volontaria nelle carceri italiane, che chiede al Parlamento di ”pensare alle persone e non alle convenienze politiche”. Incline piu’ allo scetticismo sulla fattibilita’ dell’amnistia, invece, don Sandro Spriano, cappellano nel carcere romano di Rebibbia: ”temo che sara’ l’ennesima presa in giro – commenta – la realta’ e’ che il problema non interessa ne’ a destra ne’ a sinistra, ne’ ai politici ne’ alla gente comune”. Mons. Caniato invita anche ”i politici a non tirare in ballo papa Wojtyla” che per l’Anno santo chiese ”un gesto di clemenza verso i detenuti, non verso i reati: amnistia e condono – osserva – sono concetti giuridicamente precisi e il Parlamento li deve individuare”. Discutibile e’ per l’ispettore dei cappellani anche il concetto di ”capienza tollerabile: se un carcere – sottolinea – e’ fatto per mille e sono dentro in duemila, si immagini cosa viene fuori, a livello di spazi, servizi, lavoro, impegno del personale”. Bisogna quindi far uscire i detenuti, ”a titolo non di giustizia ne’ di solidarieta’ ma di necessita’, e se ci sono dei detenuti che hanno commesso dei reati anche gravi ma sono arrivati al fine pena, manca poco, anche questi sono da mandare fuori, applicando la liberazione anticipata prevista dal codice”. Una volta usciti, segnala mons. Caniato, i detenuti si troveranno in difficolta’ e allora ”si devono mobilitare tutti quegli enti che continuano a dire ‘mandiamo a casa i detenuti’, sia laici che cattolici, che si richiamano alla solidarieta’: la dimostrino, venendo incontro a queste persone che escono, che non hanno casa e lavoro, altrimenti ritorneranno in carcere dopo due mesi”. Mons. Caniato critica infine quei parlamentari che ”prima firmano e poi non vanno in Parlamento a discutere i provvedimenti: non si puo’ usare la gente in questo modo – afferma – anche se siamo in fase preelettorale”. Suor Paola e’ ”scettica sul conseguimento di questo obiettivo”, e osserva che i ”nostri politici ne fanno un caso politico, mentre su queste cose non si devono schierare e devono invece cercare di vedere il bene delle persone che stanno dentro”. Il problema va affrontato ”non solo per risolvere il sovraffollamento” ma come primo passo per rivedere il sistema carceri. ”Non so – conclude – se ci sono le condizioni per risolvere questo nodo con questa legislatura, lo spero, vedo che tutti sono scettici, pero’ la speranza e’ l’ultima a morire”.


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