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Amnesty: torture in 98 paesi ‎

Nel rapporto sui diritti umani anche l'Italia: violazioni contro i rom e richiedenti asilo

di Redazione

Una maggiore presenza dei social media e la crescente richiesta di libertà e giustizia che infiamma il Medio Oriente e il Nordafrica sono per Amnesty International che ha presentato il suo Rapporto annuale 2011, alla vigilia del suo 50° anniversario, un’opportunità senza precedenti per un cambiamento favorevole ai diritti umani.

«Cinquant’anni dopo che la candela di Amnesty International iniziò a fare luce sulla repressione, la rivoluzione dei diritti umani oggi è vicina a un cambiamento storico», ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amensty.

«La gente sfida la paura. Persone coraggiose, guidate soprattutto dai giovani, scendono in strada e prendono la parola nonostante le pallottole, le percosse, i gas lacrimogeni e i carri armati. Questo coraggio, insieme alle nuove tecnologie che aiutano le attiviste e gli attivisti ad aggirare e denunciare la soppressione della libertà di parola e la violenta repressione delle proteste pacifiche, sta dicendo ai governi repressivi che i loro giorni sono contati» ha aggiunto Weise che ha però ammonito: «è in corso una dura rappresaglia da parte delle forze della repressione. La comunità internazionale deve cogliere l’opportunità del cambiamento e assicurare che il 2011 non sarà una falsa alba per i diritti umani».

È in corso una battaglia cruciale per il controllo dell’accesso all’informazione, dei mezzi di comunicazione e delle nuove tecnologie della rete, proprio mentre i social network alimentano nuove forme di attivismo che i governi cercano di irreggimentare.
Le proteste che si sono propagate in tutto il Medio Oriente e l’Africa del Nord per chiedere la fine della repressione e della corruzione stanno mettendo in luce quanto sia profondo il desiderio di esseri liberi dalla paura e dal bisogno e stanno dando voce alle persone senza voce. In Tunisia ed Egitto, hanno detronizzato i dittatori e il loro successo ha entusiasmato il mondo: ora i sussurri di malcontento vengono uditi dall’Azerbaigian allo Zimbabwe.

Nonostante una nuova determinazione nel contrastare i tiranni e nonostante la scena della lotta per i diritti umani si sia estesa alla nuova frontiera digitale, la libertà d’espressione – un diritto vitale in sé ma anche per poter pretendere altri diritti – è sotto attacco ovunque nel mondo.

Il Rapporto annuale 2011 di Amnesty International, pubblicato in Italia anche quest’anno da Fandango Libri (navigabile online al sito di Amnesty), documenta restrizioni alla libertà di parola in 89 paesi, mette in evidenza casi di prigionieri di coscienza in almeno 48 paesi, denuncia torture e altri maltrattamenti in almeno 98 paesi e riferisce di processi iniqui in almeno 54 paesi.

Tra i momenti più significativi del 2010, Amnesty International ricorda il rilascio di Aung San Suu Kyi in Myanmar e l’assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, nonostante il governo di Pechino abbia tentato di sabotare la cerimonia.

Lontano dalle prime pagine internazionali, migliaia di difensori dei diritti umani sono stati minacciati, imprigionati, torturati e uccisi in molti paesi, tra cui Afghanistan, Angola, Brasile, Cina, Messico, Myanmar, Russia, Turchia, Uzbekistan, Vietnam e Zimbabwe.

Il Rapporto annuale 2011 di Amnesty International segnala inoltre:
il peggioramento della situazione dei diritti umani in vari paesi, con ripercussioni sull’azione degli attivisti in Bielorussia, Kirghizistan e Ucraina; la spirale di violenza in Nigeria e l’escalation della crisi causata dall’insurrezione armata dei maoisti nell’India centrale e nordorientale;
tendenze regionali che comprendono le crescenti minacce nei confronti dei popoli nativi delle Americhe; il peggioramento della situazione legale per le donne che scelgono d’indossare il velo integrale in Europa; l’aumentata propensione degli stati europei a rinviare persone verso paesi dove rischiano la persecuzione;
conflitti che hanno provocato distruzione in Ciad, Colombia, Iraq, Israele e Territori Palestinesi Occupati, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, la regione nord caucasica della Russia, Sri Lanka, Sudan e Somalia, dove i civili sono stati spesso presi di mira da gruppi armati e forze governative;
segnali di progresso, come lo stabile arretramento della pena di morte; alcuni miglioramenti in tema di cure materne, come in Indonesia e Sierra Leone; e la consegna alla giustizia di alcuni responsabili dei crimini contro i diritti umani sotto i passati regimi militari in America Latina.

Christine Weise ha affermato che i governi potenti, che hanno sottovalutato il profondo desiderio, presente ovunque, di libertà e giustizia, ora devono sostenere le riforme anziché ritornare al cinico appoggio politico alla repressione.

Inoltre, le aziende che forniscono accessi a Internet, servizi di telefonia mobile, piattaforme per i social network e altri supporti per i mezzi d’informazione e le comunicazioni digitali devono rispettare i diritti umani. Non devono diventare pedine o complici di governi repressivi che vogliono reprimere la libertà d’espressione e usare la tecnologia per spiare i loro cittadini.

«Era dai tempi della Guerra fredda che così tanti governi repressivi non affrontavano una sfida al loro attaccamento al potere. La richiesta di diritti politici ed economici che si sta propagando in tutto il Medio Oriente e l’Africa del Nord è la prova decisiva che i diritti sono importanti allo stesso modo e costituiscono una richiesta universale» ha commentato Weise.

«Nei cinquant’anni da quando Amnesty International nacque per proteggere i diritti delle persone imprigionate a causa delle loro opinioni pacifiche, c’è stata una rivoluzione dei diritti umani. La richiesta di giustizia, libertà e dignità è diventata una domanda globale che diventa ogni giorno più forte. Il genio è uscito dalla bottiglia e le forze della repressione non potranno ricacciarlo dentro!», ha concluso Weise.

Uno sguardo all’Italia

Violazioni dei diritti dei rom, gli sgomberi forzati, aggressioni omofobe. Sono alcune delle violazioni denunciate nel rapporto annuale 2011 di Amnesty International nei confronti dell’Italia presentato oggi a Roma. Nelle pagine dedicate al nostro Paese Amnesty evidenzia i commenti dispregiativi e discriminatori formulati da politici nei confronti di rom, migranti e persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno alimentato un clima di crescente intolleranza. Ci sono state nuove violente aggressioni omofobe. I richiedenti asilo non hanno potuto accedere a procedure efficaci per ottenere protezione internazionale. Sono continuate le segnalazioni di maltrattamenti a opera di agenti delle forze di polizia o di sicurezza.
Non sono cessate le preoccupazioni da parte dell’organizzazione internazionale circa l’accuratezza delle indagini sui decessi in carcere e su presunti maltrattamenti. E ancora l’Italia ha rifiutato di introdurre il reato di tortura nella legislazione nazionale. L’organizzazione ricorda inoltre che a marzo, l’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ha visitato l’Italia per la prima volta e ha espresso preoccupazione perchè le autorità italiane stavano trattando i rom e i migranti come “problemi di sicurezza”, invece di cercare il modo di inserirli nella società.
Ad aprile, il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa ha pubblicato i rapporti sulle visite periodiche in Italia compiute nel settembre 2008 e nel luglio 2009, evidenziando, tra l’altro, la mancanza di una norma sulla tortura nel codice penale e il sovraffollamento delle strutture penitenziarie.

In particolare, si legge nel rapporto, i richiedenti asilo e migranti hanno continuato a essere privati dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda l’accesso a una procedura di asilo equa e soddisfacente.
Le autorità non li hanno adeguatamente protetti dalla violenza a sfondo razziale e, facendo collegamenti infondati tra immigrazione e criminalità, alcuni politici e rappresentanti del governo hanno alimentato un clima di intolleranza e xenofobia. L’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, e le organizzazioni non governative, hanno continuato a esprimere il timore che gli accordi tra Italia, Libia e altri paesi per controllare i flussi migratori stessero negando a centinaia di richiedenti asilo, compresi molti bambini, l’accesso alle procedure per richiedere la protezione internazionale.

L’organizzazione affronta poi la questione dei decessi in custodia. Sono giunte continue segnalazioni di maltrattamenti da parte di agenti delle forze di polizia o di sicurezza. Sono rimaste le preoccupazioni circa l’indipendenza e l’imparzialità delle indagini e sull’accuratezza della raccolta e della conservazione delle prove nei casi di decessi in custodia e di presunti maltrattamenti, che spesso hanno portato all’impunità dei perpetratori.

A fine anno erano ancora pendenti i ricorsi in appello presentati da quattro agenti di polizia che, nel luglio 2009, erano stati condannati a tre anni e sei mesi di reclusione per l’omicidio colposo del diciottenne Federico Aldrovandi, morto nel 2005 dopo essere stato fermato da agenti a Ferrara.
L’organizzazione ricorda che erano ancora in corso i procedimenti contro un agente di custodia accusato di omissione di soccorso nei confronti di Aldo Bianzino, morto in carcere a Perugia nel 2007, due giorni dopo il suo arresto. Un procedimento per omicidio contro ignoti era stato chiuso nel 2009.
Non può mancare l’episodio della morte di Stefano Cucchi, deceduto nel 2009, diversi giorni dopo l’arresto, nel reparto penitenziario di un ospedale romano. E quello di Giuseppe Uva: a dicembre, un medico è stato accusato dell’omicidio colposo di Uva, morto nel giugno 2008 in un ospedale di Varese, presumibilmente a causa di un errato trattamento medico.
E infine il G8 di Genova: a marzo e maggio, la corte d’appello di Genova ha emesso verdetti di seconda istanza nei processi sulle torture e gli altri maltrattamenti perpetrati da agenti delle forze di polizia e di sicurezza contro i manifestanti in occasione del G8 nel 2001. A fine anno rimaneva aperta l’opportunità di presentare ricorsi presso la Corte di cassazione. A marzo, la corte ha riconosciuto che la maggior parte dei reati occorsi nel centro di detenzione temporanea di Bolzaneto, tra cui lesioni personali gravi, ispezioni e perquisizioni arbitrarie, erano ormai prescritti, ma ha comunque ordinato a tutti i 42 imputati di pagare un risarcimento civile alle vittime. Molte delle accuse sono cadute a causa della prescrizione. Tuttavia, se l’Italia avesse introdotto il reato di tortura nel codice penale, la prescrizione non si sarebbe potuta applicare.

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