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Amnesty: l’Italia aiuta la Libia ad intercettare i migranti in mare
A tredici giorni dall’episodio denunciato dall’Ong tedesca Sea Watch, secondo cui la Guardia Costiera Libica ha interrotto un’operazione di salvataggio in acque internazionali, riportando circa 500 persone in Libia, anche Amnesty International esprime preoccupazioni e lancia un’accusa all’Italia: sta aggirando i suoi obblighi internazionali, aiutando la Libia ad intercettare i migranti nel Mediterraneo
Sono passati 13 giorni da quando la Guardia Costiera Libica ha interrotto un’operazione di salvataggio in acque internazionali prendendo il comando e riportando circa 500 migranti in Libia. A Vita.it Sea Watch aveva parlato di “una gravissima violazione del diritto marittimo e del diritto internazionale”, una denuncia che è stata ripresa anche da Amnesty International. L’organizzazione ha affermato di avere “forti timori che l'Italia stia tentando di venire meno all'obbligo di proteggere le persone in fuga dalle massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani in Libia facilitando l'intercettamento di migranti e rifugiati, da parte delle autorità libiche, nel Mediterraneo Centrale.”
Sea Watch aveva infatti raccontato di essere stata contattata dal Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma, nelle prime ore della mattina del 10 maggio, per soccorrere un’imbarcazione che, a circa 20 miglia dalle coste libiche, aveva lanciato una richiesta di aiuto. La nave battente bandiera libica era arrivata quando l’Ong aveva già iniziato l’operazione, inviando il primo gommone per la distribuzione dei giubbotti di salvataggio. “È arrivata ad enorme velocità, tagliando la strada della nostra barca, a prua, e dirigendosi verso l’imbarcazione di legno, piena di migranti. Il nostro capitano ha provato più volte a mettersi in contatto con la nave libica, per cercare, come facciamo sempre, di collaborare nell’operazione di soccorsi ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Siamo poi stati informati che sarebbe stata la guardia costiera libica a gestire l’operazione, e non abbiamo avuto altra scelta se non ritirarci.” Ci aveva raccontato Theresa Leisgang, responsabile comunicazione di Sea Watch che si trovava a bordo dell’imbarcazione dell’organizzazione tedesca.
Secondo Sea Watch, la Guardia Costiera Libica aveva trasformato un’operazione di salvataggio in una vera e propria deportazione, poiché non aveva rispettato la normativa internazionale per cui le persone devono essere trasportate nel porto più sicuro.
“L'episodio segna un'assai preoccupante discontinuità dalle procedure fino ad allora seguite nelle operazioni di ricerca e soccorso di migranti e rifugiati nel Mediterraneo centrale. Negli ultimi anni queste procedure sono state coordinate dalla Guardia costiera e dalla Marina italiana, di volta in volta assistite da altre Marine di stati membri dell'Unione europea, dall'agenzia europea Frontex, dall'operazione militare europea Eunavformed Sophia, da navi commerciali e, soprattutto a partire dal 2016, da navi delle Organizzazioni non governative (Ong), consentendo a centinaia di migliaia di persone di approdare sane e salve in Italia”. Amnesty ha inoltre ricordato che “per ridurre soprattutto le partenze via mare dalla Libia verso l'Italia, i leader europei hanno intrapreso iniziative multilaterali e bilaterali per rafforzare la cooperazione con le autorità della Libia per fermare le partenze dalle coste di questo paese, nonostante fossero stati ripetutamente avvisati che questa cooperazione avrebbe intrappolato ed esposto a gravi violazioni dei diritti umani i migranti e i rifugiati. Da allora, almeno 90 funzionari libici hanno completato l'addestramento. Nel contesto del tentativo europeo di stabilizzare la Libia e legittimare il riconoscimento internazionale del governo di al-Sarraj, l'Italia ha aumentato il suo coinvolgimento nel paese attraverso la firma del Memorandum d'intesa del gennaio 2017 per aumentare la cooperazione nel contrasto dell'immigrazione irregolare. Nonostante la sua validità resti dubbia dopo che nel marzo 2017 un tribunale di Tripoli ne ha decretato la sospensione, i due governi hanno proseguito ad applicare le misure e i programmi previsti dall'accordo. Sulla base del Memorandum, l'Italia tra l'altro ha accettato di restituire alla Guardia costiera libica 10 motovedette che le erano state donate ai tempi del colonnello Gheddafi. Quattro sono state consegnate a maggio, le altre sei dovrebbero esserlo a giugno. Queste motovedette sono destinate a rafforzare in modo assai importante la capacità della Guardia costiera libica di pattugliare non solo le acque territoriali ma anche quelle internazionali".
Amnesty ha inoltre affermato di aver ricevuto la conferma dalla Guardia costiera in servizio presso il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (Mrcc), che il governo italiano ha chiesto loro di aiutare le autorità libiche a istituire un centro analogo che sia in grado di coordinare le attività di ricerca e soccorso nella zona marittima di competenza della Libia. Operazione che dovrebbe avvenire entro 18 mesi, sempre che gli sforzi di ricostruzione del sistema istituzionale libico vadano in porto. L'esistenza di un'autorità nazionale stabile sarebbe infatti fondamentale per istituire e pattugliare una zona libica di ricerca e soccorso.
Secondo Amnesty, dunque: “L'intervento della Guardia costiera libica del 10 maggio potrebbe essere il segnale che le pressioni politiche del governo italiano, impegnato in prima linea a impedire a rifugiati e migranti di fuggire dalla Libia, sono prossime ad abilitare le autorità libiche a svolgere operazioni di ricerca e soccorso in mare, anche al costo di mettere in pericolo persone vulnerabili e di rinunciare a garantire il massimo livello di protezione delle loro vite”. La Libia non può infatti essere ancora considerata un "porto sicuro". A confermarlo numerose altre Ong, tra cui Medici senza Frontiere che la scorsa settimana ha reso note le condizioni disumane dei centri di detenzione in Libia.
"Questi sviluppi costringerebbero i migranti e i rifugiati riportati in Libia, dopo aver rischiato di annegare ed essere stati minacciati con le armi durante le operazioni di ricerca e soccorso in mare, ad andare incontro a ulteriori violazioni dei diritti umani". Amnesty International "teme inoltre che nel Mediterraneo centrale possa esserci un'emarginazione delle Ong le cui navi si sono messe a disposizione per salvare vite umane in modo professionale e cooperativo e il cui contributo per garantire sicurezza in mare è stato riconosciuto dalla Guardia costiera e dalla Marina italiana, nonostante sia in corso nei loro confronti una campagna diffamatoria priva di prove portata avanti da un certo numero di parlamentari e rappresentanti delle istituzioni italiane".
Foto: Gabrie Bouys (Getty Images)
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