Sviluppo territoriale

Amministrazione condivisa, fondazioni in campo

Dialogo con Luca Gori, presidente di Fondazione Caript e delegato Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio) per il Terzo settore: «L’idea è quella di produrre un documento Acri sull’amministrazione condivisa. Dovrebbe essere un documento che individua un minimo comun denominatore operativo per le fondazioni che vogliano costruire partenariati con la Pa, il Terzo settore e l’attivismo civico»

di Stefano Arduini

Dallo scorso luglio, Luca Gori, presidente della Fondazione cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, guida la Commissione Terzo settore dell’Acri, l’organismo che rappresenta 85 Fondazioni di origine bancaria e le Casse di risparmio italiane. In base all’ultimo rapporto uscito lo scorso luglio, l’attività erogativa delle Fondazioni di origine bancaria nel 2023 è stata pari a 1.047,5 milioni di euro, in aumento dell’8,9% rispetto all’anno precedente; è il miglior risultato negli ultimi 12 anni. Si prevede un’ulteriore crescita per il 2024. Risorse che in buona misura (360,5 milioni sono nel perimetro del welfare) sostengono progettazioni che hanno come player soggetti del privato sociale e del Terzo settore.

La Commissione presieduta da Gori – che è anche docente e ricercatore alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa proprio su questi temi – ha il compito di affiancare e sostenere il ruolo delle fondazioni nell’ambito delle attività in collaborazione con il Terzo settore. Tra i suoi compiti: l’attivazione di forme di dialogo innovative con le istituzioni per favorire lo sviluppo del mondo del non profit, rafforzandone le azioni per il benessere delle comunità.

Presidente Gori, a sei mesi dal suo insediamento quali sono i target che avete messo a fuoco?

È stato un periodo ricco di confronti durante il quale abbiamo individuato un tema portante e di respiro nazionale, che dia specificità alla nostra azione: l’amministrazione condivisa, ovvero come costruire partenariati fra pubblica amministrazione e Terzo settore, con la “triangolazione” delle fondazioni di origine bancaria. Siamo partiti da un monitoraggio dello stato dell’arte. Abbiamo riflettuto sulle grandi progettualità nazionali su povertà educativa e Repubblica digitale e stiamo guardando alle esperienze territoriali. Abbiamo visto la varietà dei “modelli possibili”. Dai cittadini attivi alle espressioni più “procedimentalizzate”. È emerso un quadro variegato. La materia, sebbene se ne discuta da anni, è ancora “nuova” nella prassi. Non sorprende dunque che ci siano livelli di partenza differenti da territorio a territorio. L’idea è quella di produrre, nei prossimi mesi, un documento Acri sull’amministrazione condivisa. Dovrebbe essere un documento che individua un minimo comun denominatore operativo per le fondazioni che vogliano costruire partenariati con la Pa, il Terzo settore e l’attivismo civico. Un punto di partenza condiviso su cui poi calare le specificità territoriali. 

Qual è il prototipo di “triangolazione” che avete in mente?

A mio giudizio, la principale variabile è la natura dell’ente che si “attiva”. L’ipotesi più “classica” è che sia l’ente pubblico ad identificare il bisogno sollecitando i soggetti del Terzo settore per una programmazione prima e progettazione poi, da fare insieme. In questo caso, la fondazione ha un ruolo di “consolidamento” di un partenariato in costruzione o già avviato. 

Cosa intende con “consolidamento”?

Due esempi: raccolta dati per la programmazione e valutazione d’impatto. Se una fondazione si inserisce coprendo queste due fasi, a supporto del partenariato, alleggerisce di alcuni costi, dà un contributo di conoscenza notevole, apre la strada alla collaborazione. 

Veniamo alla seconda variante…

In questo caso è il Terzo settore ad “attaccare” la spina. Il contributo della Fondazione è quello del sostegno ai soggetti dell’attivismo civico nella strutturazione della proposta, con contributi anche in termini di risorse per il partenariato, sulla raccolta dati e informazioni per supportare la proposta e poi della sollecitazione nei confronti della pubblica amministrazione. Questo schema è particolarmente adatto a temi innovativi, come la povertà educativa o la salute nelle aree interne. La Fondazione sostiene l’innesco da parte dei cittadini. 

Può succedere che sia invece la Fondazione a individuare il bisogno e a dare il “la” al processo?

È la variante più inedita a livello locale, che richiama una forte responsabilità da parte delle Fondazioni nella lettura del territorio. Qui è la fondazione che lancia un bisogno e chiama Terzo settore e P.A. al “tavolo”. In questo, come nel secondo caso, il vero nodo è che i dispositivi normativi sono quasi tutti pensati per la prima opzione. Occorre quindi che il coinvolgimento a livello istituzionale e amministrativo sia pieno e convinto. Dopo di che, e lo dico da giurista, una strada “procedimentale” si trova. Del resto, a livello nazionale le grandi “amministrazioni condivise” sono nate così. 

Ci sono aree d’intervento più adatte a sperimentare l’amministrazione condivisa a trazione “fondazioni”?

È un aspetto che stiamo approfondendo. Ad oggi le posso dire che gli incroci fra cultura e welfare possono offrire spazi interessanti. C’è poi il tema della gestione dei beni comuni (per esempio immobili confiscati o spazi pubblici inutilizzati) e rigenerazione urbana, in primis. 

Lei prima diceva che in un panorama composito ci sono sperimentazioni interessanti su alcuni territori. Dove per esempio?

Le grandi Fondazioni hanno già una expertise molto consolidata. Stiamo raccogliendo molte esperienze, attraverso una call fra le fondazioni che partecipano alla commissione (da Lucca a Bologna, da Genova a Verona, Perugia, Livorno e altre). Molte le risposte arrivate, sia da fondazioni grandi sia da fondazioni più piccole. Ci siamo messi a  studiare… 

In conclusione il giurista Gori come definisce “l’amministrazione condivisa”?

Direi così: è quel processo in cui attori pubblici e attori della società civile determinano su un piano paritario le priorità di intervento di una comunità e e le modalità per soddisfare i bisogni nonché le forme di monitoraggio e la ripartizione delle responsabilità, all’interno di nuove forme di amministrazione. Tengo molto a questo punto: l’amministrazione condivisa è una modalità – nuova, per certi versi inediti –  per esercizio di una funzione pubblica, nel senso che è una risposta ai diritti delle persone, in particolare a quelli emergenti e più nuovi. Non è beneficenza e nemmeno filantropia. E’ proprio un nuovo modo di organizzare il potere pubblico, attraverso un Terzo settore che diventa un protagonista fondamentale. Le fondazioni, per questo, devono stare anche dentro in modi nuovi.   

In apertura: Luca Gori, presidente della Fondazione cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, guida la Commissione Terzo settore dell’Acri. Foto: Lorenzo Marianeschi

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