Politica

Amministratori, niente tetto a 30 euro

Il non profit stralciato dal provvedimento

di Redazione

Posso pagare i consiglieri di un ente non profit? Attorno ad una legittima domanda, si misura – erroneamente – la questione del vero e falso non profit, della presenza di lucro in un’organizzazione. Iniziamo dalla cronaca. Nella manovra economica (dl 78/10), appena votata al Senato e quindi passata alla Camera, troviamo un articolo (6, c 2) che interessa anche il non profit e che limita ad un massimo di 30 euro il gettone di presenza per seduta riconosciuto ad ogni componente di organi di controllo e di amministrazione di enti non profit che ricevono «contributi a carico delle finanze pubbliche».
Ci torniamo tra poco. Ad oggi la situazione dei compensi agli amministratori non profit prevede che le uniche organizzazioni che non possono riconoscere alcunché ai propri consiglieri sono gli enti di volontariato, in quanto i componenti degli organi di amministrazione devono essere soci e pertanto devono essere volontari che, in modo assoluto, non possono ricevere alcun compenso.
Alle altre organizzazioni, secondo l’Agenzia delle entrate, è applicabile la previsione delle onlus, secondo la quale è distribuzione indiretta di utile la corresponsione agli organi di amministrazione di compensi superiori a quelli riconosciuti al presidente del collegio sindacale di una società per azioni (art 10, c 6, lett c, dlgs 460/97). Sotto quella soglia, il compenso è quindi legittimo.
Torniamo al decreto legge in via di conversione. Nell’esame della V Commissione del Senato è stato approvato un emendamento che esclude da questa norma gli enti e le fondazioni di ricerca scientifica, le onlus e le associazioni di promozione sociale. Si è preso atto che esiste una norma speciale e che non era cosa buona e giusta creare un conflitto tra leggi.
Giusto per la cronaca. Un senatore del Pd è intervenuto contestando il fatto che si esentassero ampie categorie di soggetti; un altro componente della commissione, sempre del Pd, ha invece rilevato come fosse opportuno esentare i soggetti che hanno un ruolo sociale e culturale così elevato. Per fortuna è passata l’esenzione e, almeno le organizzazioni citate, possono dormire sonni tranquilli.
La questione che si pone è comunque rilevante. Il fatto che la maggior parte degli enti prevedano di fatto la totale gratuità delle cariche associative non esclude la legittimità anche morale di chi invece sceglie l’altra strada, quella di riconoscere un emolumento. A me pare infatti che parlando di enti senza scopo di lucro non si debba scivolare in facili moralismi che, come noto, nulla hanno a che vedere con la morale. È alta infatti la responsabilità in capo a chi decide come utilizzare fondi pubblici e privati per fini socialmente rilevanti. Nelle associazioni non riconosciute, ad esempio, ai sensi dell’articolo 38 del Codice civile, chi ha agito in nome e per conto dell’associazione (il consiglio) risponde solidalmente al fondo comune anche personalmente con i propri mezzi personali.
Certo, non è che un gettone di presenza risolva la questione, ma è innegabile che a fronte di certi impegni finanziari dell’ente possa corrispondere una sorta di riconoscimento anche economico del consigliere che si prende responsabilità potenzialmente molto onerose. Se si introducono ragionamenti di buon senso, si evitano facili moralismi e si rendono più consapevoli le persone. E non è un obiettivo da poco.


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