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America Latina,qui regna Lula Ha giocato un ruolo decisivo nella crisi del Paese andino.Estromettendo dalla partita gli Stati Uniti. Fine di un’era o un abile doppio gioco? di Paolo Manzo

scenari La crisi in Bolivia lancia il ruolo del Brasile

di Redazione

da Rio de Janeiro
L’espulsione lo scorso 10 settembre di Philip Goldberg, l’ambasciatore statunitense a La Paz bollato da Evo Morales Aymara come «persona non grata» perché appoggerebbe i movimenti separatisti boliviani, ha preceduto di 24 ore il deflagrare di una crisi nel Paese andino che rischia di trasformarsi in una vera e propria guerra civile. Immediata la replica di Washington che ha espulso l’ambasciatore boliviano dagli Stati Uniti. E immediato anche l’intervento, durissimo, del presidente del Venezuela, Hugo Chávez che, dopo avere insultato pesantemente la Casa Bianca, ha cacciato l’ambasciatore Usa a Caracas, offrendo appoggio militare al compagno Morales nel caso gli «yankee di merda» tentassero un golpe contro il «presidente democraticamente eletto della sorella Bolivia».
A scontrarsi sono da un lato le forze che appoggiano il presidente Evo Morales, primo presidente indio nella storia della Bolivia, dall’altro i supporter dei governatori di cinque province ribelli, tra cui quella di Pando, le più ricche del Paese e che vogliono l’autonomia dal governo centrale di La Paz.
Ma cosa c’è dietro la crisi? Per spiegarlo è necessario inquadrare gli interessi economici e geopolitici. Morales vuole che gli utili degli idrocarburi – soprattutto gas naturale, ma anche petrolio – rimangano nel Paese e siano usati per introdurre politiche economiche che includano socialmente quel 65% di popolazione che, come lui, è di origine indigena. Mai nessuno nella storia in Bolivia si era spinto tanto in là. A comandare sul gas del Paese andino, infatti, sono state tradizionalmente le multinazionali statunitensi e, in seconda battuta, quelle europee, e ogni volta che qualche presidente boliviano tentava di cambiare le cose veniva, in un modo o nell’altro, estromesso dal potere. Questo ci rivela la storia della Bolivia che, in quanto a colpi di Stato, rappresenta un unicum: dall’indipendenza nel 1825 ad oggi, infatti, il Paese ha visto succedersi la cifra record di 193 colpi di Stato. Tutti golpe appoggiati dagli Stati Uniti che consideravano la Bolivia parte del loro back yard sudamericano.
Oggi, tuttavia, le cose sono cambiate radicalmente e un’attenta analisi della crisi boliviana evidenzia soprattutto tre aspetti. Innanzitutto il ruolo secondario degli Stati Uniti nella risoluzione della crisi. Al di là della risposta diplomatica né la Casa Bianca né l’Organizzazione degli Stati americani, l’Oea (tradizionalmente vicina agli Usa), hanno preso parte ai negoziati per la risoluzione della crisi. Il ruolo decisivo, ed è forse la prima volta che accade, è stato assunto dall’Unione delle Nazioni sudamericane, l’Unasur, che nel vertice di Santiago dello scorso 15 settembre ha dato «pieno appoggio al presidente Morales».
Terza lezione della crisi è il ruolo di potenza regionale, oramai accettato da tutti, del Brasile di Lula che, dopo avere disinnescato i proclami bellicisti di Chávez che a Santiago era andato per mettere pubblicamente alla gogna gli Usa, si è imposto come mediatore di peso con l’appoggio sia di Morales che degli autonomisti di Santa Cruz, Pando e compagnia. Anche perché, come ha rivelato a Vita un ex ministro verdeoro, «il Brasile da questa crisi vince in ogni caso. Sia che Morales resti, sia che la Bolivia si smembri. Il resto sono solo chiacchiere politically correct».
La lezione è chiara: oggi il ruolo di superpotenza regionale in Sudamerica non è più svolto dagli Usa, ma dal Brasile. Resta da capire se, per questa “missione”, Lula abbia avuto mandato dalla Casa Bianca. In molti sono pronti a giurare di sì.

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