Sostenibilità

Ambiente, salute e riproduzione: i rischi nascosti

Presentati oggi i primi dati del nuovo studio sugli “interferenti endocrini”. Otto bambini su dieci nascono già contaminati

di Redazione

Ci sono inquinanti che non solo ci contaminano quotidianamente attraverso cibi, tessuti, plastiche e detergenti, ma sono in grado di superare la barriera placentare per cui otto neonati su dieci nascono già contaminati. Sono i cosiddetti “interferenti endocrini” che vanno a interferire sugli equilibri degli ormoni sessuali e che sono responsabili di possibili ripercussioni negative sulla fertilità umana e animali. In situazioni più naturali come le Oasi WWF la presenza di contaminanti appare avere un impatto ridotto.
Sono questi i primi dati presentati a Popoli, sede di una delle due oasi coinvolte nello studio del progetto Previeni (www.iss.it/prvn), il primo studio interdisciplinare sul rapporto tra gli “interferenti endocrini emergenti”, la salute e l’ambiente, condotto dal WWF insieme all’Istituto Superiore Sanità, il Dipartimento Salute della Donna e Medicina del Territorio-Università Sapienza di Roma/Ospedale Sant’Andrea e l’Università di Siena, promosso e finanziato dal ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Lo studio, che ha analizzato un campione di 250 coppie affette da infertilità, 10 coppie mamme-bambino e diverse specie animali che abitano la natura protetta di due Oasi WWF in Abruzzo (Sorgenti del Pescara  a Popoli e Diga di Alanno), evidenzia come negli individui che vengono esposti maggiormente ad interferenti endocrini aumenti il rischi di infertilità e patologie correlate.

Non solo: lo studio “Previeni” ha anche confermato che gli “interferenti endocrini” sono in grado di attraversare la placenta, passando direttamente dalla madre, che dopo la gravidanza risulta in parte “svelenata”, al bambino, che nasce già contaminato. Una contaminazione di partenza che, in assenza di misure di prevenzione, potrà continuare nella vita successiva. Qualche numero? Nel 100% dei casi, da una madre contaminata nasce un bambino contaminato, e su dieci coppie mamma-bambino, otto presentano tracce di interferenti endocrini, nello specifico “ftalati”.

Nonostante le limitazioni di legge, ottenute grazie anche alla spinta congiunta del mondo scientifico e del mondo ambientalista, interferenti endocrini ancora si trovano in oggetti di uso comune come tappeti, vestiti, pentole antiaderenti e vernici (“composti perfluorurati-PFC”, idrorepellenti e anti-macchia), giocattoli, contenitori e dispositivi medici (“ftalati”, rendono il PVC più flessibile), tessuti, auto, pc e televisori (“ritardanti di fiamma”, riducono l’infiammabilità), pesticidi, oli e prodotti industriali (“policlorobifenili-PCB”, in alcuni paesi proibiti già dagli anni 70-80, ma persistenti nell’ambiente).

E loro tracce vengono riscontrate anche negli alimenti, molti interferenti endocrini (come i PFC, i ritardanti di fiamma, i PCB), sono infatti contaminanti “persistenti” perché, anche quando dispersi nell’ambiente, non si degradano ma si accumulano negli organismi viventi, continuando a penetrare nell’organismo attraverso la cute, le mucose, l’apparato respiratorio e l’alimentazione. Al punto che anche sostanze vietate ormai da decenni come il DDT, continuano a essere presenti nell’aria, nella terra e nell’acqua e vengono ancora riscontrati in bambini e animali nati oggi.

Le cose cambiano se dagli ambienti urbani passiamo agli ambienti delle due Oasi WWF abruzzesi coinvolte nello studio, Sorgenti del Pescara e Diga di Alanno. In entrambe, i contaminanti oggetto dello studio sono stati riscontrati in livelli bassi nelle specie oggetto dello studio, il lombrico (Lumbricus terrestris), i pescibarbo(Barbus tyberinus) etrota (Salmo trutta), e come uccello acquatico la folaga(Fulica atra). Ma anche all’interno delle Oasi e nelle zone immediatamente limitrofe, le aree a valle di insediamenti industriali, scarichi e discariche, ovvero la confluenza del fiume Aterno e la Diga di Alanno, risultano meno “pulite” per le sostanze cercate sia a livello ambientale sia negli animali studiati.

«Dal momento che i nostri alimenti sono prodotti da organismi viventi, la sicurezza alimentare è uno snodo chiave fra la qualità dell’ambiente e la nostra salute – ha dichiarato Alberto Mantovani, dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità e coordinatore del progetto– Il progetto Previeni, uno dei primi in Italia che integra diverse discipline scientifiche, studia i contaminanti emergenti capaci di alterare i nostri ormoni, con il preciso obiettivo di aggiornare i sistemi di prevenzione dei rischi per la nostra salute».

«La contaminazione dell’ambiente è un nemico nascosto, che oltre a minacciare gli ecosistemi terrestri e marini, passa attraverso il cibo e gli oggetti che usiamo ogni giorno, con conseguenze anche gravi sulla nostra salute – ha detto Donatella Caserta, ordinario di ginecologia e ostetricia dell’Università di Roma “Sapienza”– Per ridurre i rischi, dobbiamo limitare la nostra esposizione a queste sostanze, attraverso stili di vita e scelte alimentari consapevoli. Ed è sempre più necessaria la realizzazione di adeguati programmi di controllo, sulla base di un sano principio di precauzione».

«La presenza di boschi, fasce ripariali e vegetazione acquatica migliora la capacità dell’ambiente di rispondere agli stress antropici come l’introduzione di contaminanti. La produzione di queste aree  ed è quindi una risorsa positiva anche per la salute umana, capace di migliorare le condizioni di vita ed aumentare il benessere – ha detto Eva Alessi, responsabile sostenibilità del WWF Italia – Nell’ultimo ventennio, la forte industrializzazione ha determinato una contaminazione ambientale diffusa senza precedenti. Mai come oggi, la normativa in materia di sostanze chimiche deve diventare più efficace e restrittiva, nell’ottica di salvaguardare la salute dell’uomo e dell’ambiente».

Dopo la presentazione oggi dei primi dati del progetto, in una seconda fase, entro la fine dell’anno, saranno presentate anche le ripercussioni nell’età evolutiva e sull’infertilità sine causa dell’esposizione a questi stessi contaminanti.

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